Agrigento Menfi
L’isola di Trinacria è troppo densa: in un solo triangolo di terra bagnata dal Mediterraneo si concentra troppa bellezza, e al tempo stesso il giorno di pausa pesa sulla tabella di marcia.
La ciclicità è una dannazione pari a quella del Vecchio Marinaio di Coleridge, costretto a raccontare per sempre la sua storia in un eterno ripetersi. E allo stesso modo i nostri viaggi ci lasciano quel sapore agrodolce dell’arrivo e della ripartenza, senza riuscire a innamorarsi in pianta stabile di una terra ma al tempo stesso infatuandosene.
I giorni a disposizione sono pochi, e nuove terre chiamano.
Un’ondata di caldo eccezionale accompagna questa nuova tappa verso le coste occidentali dell’isola: smontiamo tende e bagagli il prima possibile, e verso le 8 siamo già in viaggio in direzione di Porto Empedocle e Scala dei Turchi, dove facciamo una prima pausa sul belvedere liberato dagli abusivismi
Nella giornata di oggi Piero è in fuga: partito in velocità prima di tutti, lo ritroveremo soltanto a sera nel campeggio, aggiornandoci di tanto in tanto per telefono. Giuseppe intanto ci dà notizie di Massimo, che è sul nostro stesso percorso, a volte davanti, a volte dietro.
Uno spazio lungo, una linea con due estremità, sulla quale perdersi e ritrovarsi, è la costante di questo viaggio. Siamo tutti sulla traccia, chi prima e chi dopo, e questo senso di bidimensionalità ci dà la sicurezza di avere tutti in qualche modo sempre vicini, ognuno al suo passo.
E uscire dalla traccia può riservare brutti scherzi: al bivio per Realmonte, infatti, facciamo una salita inutile, affrontando tornanti che avrebbero buttato inutilmente verso l’interno. Si impreca, si riscende e si prosegue per via Stazione, dove ci riallacciamo al corso della SiBit.
Questa ciclovia che unisce Siracusa a Trapani lungo tutta la costa meridionale dell’isola si basa sul principio di condivisione della strada: più che una ciclabile, è un itinerario cicloturistico consigliato, che sceglie strade secondarie o del tutto deserte, e solo quando la 115 è l’unica alternativa mette a disposizione dei ciclisti un metro e mezzo di bike-lane. Anche in questo caso il concetto di spazio lungo è dato dalla segnaletica costante, che ci dà la sensazione di trovarci su un unico, lungo cammino.
Il tratto di strada prima di Siculiana è un’Irlanda equatoriale: soltanto i colori e le temperature sono diverse. Una strada tortuosa, stretta e altalenante ci fa compagnia tra campi coltivati e piccole case rurali, e tutto intorno Nostra Signora delle Melanzane ostenta la sua magnificenza fatta di curve violacee e lucide. Ogni tanto la strada si tuffa in un guado di un torrente, che la stagione torrida ha reso praticabile.
Il sole è all’apice del suo arco quando arriviamo a Seccagrande, località balneare che sembra avere un po’ di movimenti umani nel grande silenzio assolato. Il lungomare Gagarin ci accoglie con le sue casette basse, qualche famigliola nei giardini, bambini che giocano, materassini gonfiabili e secchielli. Dobbiamo cercare un posto per passare le ore calde, e il Lido Neptun fa al caso nostro, ravvivando il ricorrere del dio marino, il cui nome ci accompagnerà fino a Palermo.
Le ore più torride passano tra arancini e fritture di pesce. Il ragazzo del lido scambia qualche parola con noi, ci chiede del nostro viaggio incuriosito. È chiaro di occhi e capelli, ha un accento particolare: “Ma tu non sei siciliano?”
“Minchia cumpare, di Bacau sugnu! Romania!”
La ripartenza è difficile ma necessaria: sono le quattro e mezza, fa ancora caldissimo ma i chilometri di oggi sono ancora tanti, e Piero è già dalle parti di Sciacca.
L’infame Statale Meridionale Sicura, l’onnipresente 115 che cambia nome a seconda del suo orientamento cardinale ma conserva il rombo dei suoi tir, in questo punto è l’unica alternativa. Ed è qui che io e Giuseppe, accostando un attimo a lato, ci ritroviamo i copertoni costellati di spine (“spinesante”, le chiamano da queste parti: una specie di chiodi plurispinati da inseguimento alla 007) e quattro ruote a terra in due. Per di più il mozzo della mia ruota posteriore ha intensificato la sinfonia di scricchiolii che mi accompagna da qualche decina di chilometri, e anche Agnese accusa problemi.
Ci viene in soccorso Lorenzo Sabella, titolare di 100% bici a Sciacca, che ci carica tutti e cinque col furgone sottraendoci dal pessimo traffico della statale. Per entrare tutti nel mezzo, le due fanciulle si siedono davanti accanto a lui, mentre io, Giuseppe e Giancarlo ci accucciamo nel fondo del furgone insieme alle bici: la scena di carico è da caporalato, il sudore delle braccia a contatto tra loro unite alle espressioni sconvolte e alle scosse da furgone ci danno l’aspetto di braccianti portati da un latifondo all’altro. E invece stiamo soltanto facendo un tranquillo viaggio in bicicletta, mentre questa è la realtà – non scelta, ma imposta – di tanti in queste zone.
100% Bici è, come lo era stato Cicli Cima, un’oasi nel deserto, fatta di persone preparate, disponibili e gentili. I figli di Lorenzo sono anche suoi aiutanti: il piccoletto, Tommaso, è ansioso di dare una mano e porta le bici da riparare dall’esterno all’interno del negozio con una naturalezza fuori dal comune. “Ma ce la fai? È pesante!”, ma prima di finire la frase, lui ha già la tua bici in mano e la sta spingendo senza sforzo.
Giuseppe ne approfitta per nastrare il manubrio, Agnese per una sistemata generale, io per cambiare i cuscinetti del mozzo posteriore. Foto di rito e ringraziamenti: ora sì che si pedala. Sono le sette passate, il velo fresco della sera è vicino e gli ultimi 20 chilometri passano per strade secondarie.
Dopo una breve salita, ci ritroviamo su un altipiano tra ulivi e vigneti che ci mostrano Sciacca dall’alto, in tutto il suo splendore mediorientale. I colori si fanno tenui e crepuscolari, ma del buio ci importa poco. L’aria è profumata, qualche cane abbaia in lontananza. Nel frattempo Piero ha trovato un campeggio nelle vicinanze di Menfi, dice che si sta bene, è ombroso e ha già fatto il bagno.
Cala l’oscurità, lasciando solo i contorni scuri delle colline.
Accendiamo le luci e ci lanciamo in discesa per strade desolate, accompagnati dal canto dei grilli, mentre la ruota libera scorre leggera e ci lascia a immaginare un paesaggio meraviglioso dietro quel velo di buio silente.
Ancora una complanare, una strada secondaria e sporadiche automobili che ci affiancano: una di esse rallenta, abbassa il finestrino e dice a Giancarlo: “Ma voi siete i Cialtroni in bici? Ho incontrato Piero prima, quello con la trombetta a maiale! Siete dei grandi! Dai, che al campeggio vi manca poco!”
Con la consapevolezza di essere ormai delle celebrità a Menfi, approdiamo strombazzanti al Camping La Palma, in un tripudio di applausi e sguardi sconcertati.
Piero è seduto al bar del campeggio, davanti a una birra da 66.
La signora alla reception ci tratta immediatamente come dei figli scapestrati: alla vista della carta d’identità di Piero, ridotta praticamente a una sindone, si mette le mani nei capelli. Fa battute, punzecchia, ci invoglia a restare: “Questo è il migliore campeggio della Sicilia, dove ve ne andate, restate qua! Pensate che alla spiaggia accanto una caretta caretta ha appena deposto le uova, attendiamo la schiusa per settembre…”
E poi, ancora, tronfia della sua vita: “Pensate che io di solito lavoro in tacchi e tailleur, ma chi me lo fa fare, da aprile a ottobre me piazzo qua e sto da dio!”
Il campeggio è in un bosco di eucalipti battuti dal vento caldo sahariano, proprio di fronte a una spiaggia di sabbia fina, meravigliosa. Il tempo di montare in fretta e furia le tende nel buio, mettere il costume e via: la scia argentea della luna ci guida anche stasera a una nuotata notturna, come fa il Commissario Montalbano quando deve risolvere un caso.
L’acqua è così trasparente che mi vedo i piedi nella luce lunare, non ci sono onde, tutto tace. Un fuoco di un falò in lontananza, una nuova dimensione senza tempo e senza spazio.
Nuoto nel buio, perdo l’orientamento, acqua nelle orecchie. Dove sono? Chi sono?