La giornata tanto per cambiare è calda, gli obiettivi sono tre:
a) tuffo alla Scala dei Turchi;
b) visita alla Valle dei Templi;
c) pedalare il meno possibile.
La compagnia si divide a seconda delle inclinazioni personali: io, Giancarlo, Fiorella e Agnese andiamo al mare per lasciarci i Templi al tramonto, Giuseppe visita la casa di Pirandello, Piero dorme in tenda, sfiancato dalla sera precedente, per poi visitare il Museo Archeologico.
Pessima mossa: salito ad Agrigento alta, si ritroverà con il copertone scoppiato e la camera d’aria fusa, senza ricambi dietro né negozi aperti. E così, mentre noi nuotiamo nelle acque cristalline della Scala dei Turchi, risolverà il problema nell’unico dei modi possibili: tornare a piedi sotto il sole delle due a San Leone, vicino al campeggio, al primo ciclista aperto, e buttare lo Schwalbe squarciato dal caldo tra le imprecazioni.
Definire Scala dei Turchi come un paradiso sarebbe riduttivo: questo a meno che il paradiso non somigli ad un’immensa meringa immersa nel blu, o a un escremento di vacca seccato e sbiancato dal sole d’agosto. Un enorme declivio di granito bianchissimo, abbacinante, punteggiato da tante formiche umane in cerca di selfie per far schiattare d’invidia gli amici su facebook per le loro originalissime ferie. Il bianco avvolge tutto, comprime gli occhi e li riduce a una gettoniera, la luce risalta ogni colore schiacciandolo sul blu del mare.
Qui incontriamo Rossella, cicloattivista della prima ora insignita del titolo di Santa Graziella, in vacanza in camper con la famiglia. Foto di rito in omaggio alla dea della Casualità: le vie del ciclismo sono infinite, e prima o poi ci si incontra sempre lungo la Strada, che invece è una sola. E’ solo questione di tempo, siamo tutti lì, più avanti o più indietro.
Dopo un pomeriggio di svacco al campeggio in cui ci laviamo i panni e ci lecchiamo le ferite di tanti giorni di nomadismo, all’imbrunire ci muoviamo per visitare la Valle dei Templi: il sito archeologico più grande d’Europa.
L’antica Akragas, poi Girgenti e infine Agrigento, fu una delle più importanti colonie della Magna Grecia lungo la sponda meridionale dell’isola, come testimonia l’imponenza dei suoi templi, conservati in maniera incredibile. Furono abitanti di Rodi e Creta a fondarla nel 581 a.C., e conobbe un periodo di incredibile fortuna fino a quando i Cartaginesi la presero di mira. Oggi è il Parco Archeologico più grande del mondo, e presenta soprattutto santuari dedicati a divinità ctonie – Demetra, Dioniso, Castore e Polluce – quelle legate alla terra, ai culti misterici e all’irrazionalità, insomma quelle un po’ più borderline rispetto agli dei olimpici tradizionali.
Un’Acropoli diffusa, e sparsa in un arco di tre chilometri su colline di ulivi a ridosso del mare. Uno dei tanti angoli di Grecia classica in Sicilia, quella stessa Sicilia che spogliò i suoi templi per costruire i moli di Porto Empedocle. Ci rimaniamo dal tramonto a buio inoltrato, in quel breve momento in cui il marmo si incendia di colori caldi, come a ricordare un passato magnificente e al tempo stesso celebrare la propria dolce decadenza. La moderna Agrigento, brutta e informe sullo sfondo, contrasta con violenza le vestigia del passato a colpi di cemento e abusivismo.
Silenzio mistico nel crepuscolo dorico, sensazione di pace interiore.
Dei telamoni rimangono sdraiati, inermi, ultima testimonianza di quel cumulo di macerie che un tempo era l’immenso Tempio di Zeus. Il telamone è una figura maschile, robusta, che fa da contrappunto al capitello dorico, quello semplice e tozzo. Il maschio, in altre parole, quello che deve ostentare e imporre la propria forza fisica.
Lo stile ionico, quello a volute curve dei templi greci successivi, è invece rappresentato idealmente dalla cariatide, figura femminile, che porta il suo fardello con leggerezza e naturalezza, come un dovere imposto da secoli di cultura, come fosse una cesta sulla testa.
Poi arrivarono i Romani con lo stile corinzio, ricco di foglie d’acanto, esagerato, pacchiano. Grecia capta coepit ferum victorem, e la bellezza classica declinò.
Oggi si celebra l’anti-agonismo e il lusso borghese, quindi se dobbiamo fare i turisti prima che i ciclisti tanto vale farlo bene. La trattoria Caico a San Leone soddisfa tutti i nostri più turpi desideri gastronomici, e prima di rimetterci in cammino decidiamo di spopolare la fauna ittica di questi mari: pesce spatola, cavatelli pesce spada e melanzane, spaghetti alle vongole veraci, fritto di calamari e grigliata di pesce mista. Con la pancia piena si pedala meglio, quindi ci portiamo avanti.