Corcagnano / Milano
Il mattino della campagna parmense mi sveglia con scrosci di temporale fin dalle 8. Attendo così le 11 a casa di Matteo per decidere cosa sia meglio fare, poi non appena il cielo sembra dare un po’ di tregua mi metto in cammino verso Parma: la strada bagnata, il cielo di tutte le tonalità del grigio, l’odore intenso e umido dei campi, persino le goccioline di acqua e terra che la ruota anteriore priva di parafango mi getta sulle caviglie, tutto mi fa sentire vivo e libero. Arrivo rapidamente a Parma, passo in tranquillità gli ampi viali, entro sotto la tettoia della stazione e dopo tre secondi di orologio inizia il diluvio.
Frastuono sotto la pensilina.
La stazione di Parma, colorata, moderna, diventa un eremo per i viaggiatori e per i pendolari. Un gigantesco salernitano, mentre tiene per mano il figlioletto, si lamenta dei costi con l’operatore alla biglietteria. Due anziane e distinte signore pagano un biglietto in anticipo di alcuni giorni con una banconota da duecento euro. Non sapevo fossero gialle.
Sul treno per Milano incontro una signora bionda, sportiva, che dà immediatamente inizio a una piacevole e interminabile conversazione con me; è di Parma e ha 55 anni, ma ne dimostra neanche quaranta: un bel viso, labbra rifatte, abbigliamento leggero e giovanile. Dice di apprezzare i viaggi avventurosi ed economici, mi racconta le sue disavventure in autostop e di quando fu salvata da un elicottero sul fondo di un ghiacciaio vicino Chamonix, mi dice di fare attenzione ai costi di qualsiasi cosa se decido di andare in Svizzera, ci raccontiamo praticamente le rispettive vite e viaggi.
Arrivati in stazione a Milano insiste per offrirmi un caffè a tutti i costi, le lascio l’e-mail e ci salutiamo. Rimango così da solo di fronte alla città che ho sempre avuto paura di vedere. Prima impressione, appena uscito dalla Stazione Centrale: Monopoli. Manca solo Parco della Vittoria. Mi addentro per le vie grigie e frenetiche. Seconda impressione: è pieno di sexy shop. Del resto, con la nebbia ci si deve annoiare un sacco. Terza impressione: un centro commerciale a cielo aperto, anzi una passerella di moda. Nei lunghi viali grigi e biondo platino le scritte delle marche ti aggrediscono come versi di animali feroci: Berhska, H&M, Dolce&Gabbana, Calvin Klein. Percorro lentamente corso Buenos Aires, passo San Babila, finalmente piazza Duomo, ci arrivo lungo corso Tartaglia. Niente da dire, un bel souvenir, ben lavorato. Decido di omaggiarlo con una foto dal cellulare, insieme alla mia bici.
Ed ecco che Milano mi fa pagare il conto: la ruota posteriore comincia a fare dapprima un cigolio strano, poi esce sempre di più dal suo asse: i mozzi della ruota se ne sono andati, insieme ai relativi cuscinetti, forse disgustati da un adesivo leghista di troppo, o dalla scritta luminosa del quotidiano Libero in piazza Porta Venezia. Mi vedo costretto ad abbandonare il mio mezzo da un ciclista in via Lecco, lasciandogliela in riparazione per una notte e portandomi dietro zaino e borse. Aspetto che Silvia esca dal lavoro a Porta Venezia, e involontariamente, complici forse le borse che mi porto appresso, mi mescolo a un gruppo di barboni.
Dopo essermi riposato e lavato, andiamo dalle parti di Porta Volta a cenare in una trattoria che porta il nome della birra che servono, la Carlsberg, ambiente un po’ chic rispetto agli standard di questo viaggio, ma si mangia benissimo: tagliere di salumi tipici, gnocco fritto, paccheri alla partenopea, poi giretto a piedi dalle parti di via Mozart e begli edifici di inizio Novecento, austeri ed eleganti.
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