La prima tappa è Capua.
Uscire in bicicletta dalla prigione del grande raccordo anulare non è mai un problema semplice. Aree semi-industriali e in semi-degrado, camion e autoarticolati in ingresso e uscita, strade intasate. Uno stress a cui mi sottopongo tutti i giorni, e che questa volta non mi merito.
Con le compagne di pedalanza ho discusso due possibilità:
– metro C fino a Pantano-Montecompatri e poi Casilina, oppure
– treno fino a Campoleone e di seguito agro pontino, giù fino a Castel Volturno prima di lasciare il Tirreno e cominciare la traversata fino allo Ionio.
Volevo vedere il mare, e ho scelto la seconda.
Le previsioni sono buone e la situazione è invece eccezionale. Il Circeo deve essere sicuramente sembrato un’isola agli antichi navigatori greci e medio-orientali. È lo stesso per chi arriva terra, soprattutto in giornate terse come questa. All’orizzonte, si distinguono nitidamente le sagome di Palmarola, Ponza, Ventotene e Santo Stefano. È uno spettacolo abbastanza inusuale.
Il viaggio lento verso sud-est consente di percepire i movimenti celesti. Parti con la luna ancora alta e l’abbaglio del sole basso sull’asfalto e finisci con l’ombra lunga che ti fa strada. Ho pedalato circa 180km in poco più di dieci ore. Come prima giornata è andata bene.
Partendo ho lasciato a casa la chiave dell’appartamento che mi hanno prestato per pernottare a Cisternino. Avevo una checklist dettagliatissima di cose da portare e giovedì sera ho spuntato uno a uno tutti gli oggetti. Tranne quelli che non c’erano. In qualche modo la risolviamo. Fra le cose extra lista che non ho dimenticato c’è una cartellina con una memoria del 1896 di un chimico svedese, Svante Arrhenius, fra i primi a eseguire una calcolo dettagliato dell’effetto dell’anidride carbonica, o acido carbonico, sul clima terrestre.
È uno studio di una bellezza incredibile.
Anzi diciamo meglio, il testo è a tratti incomprensibile e Arrhenius stesso presenta il suo lavoro come il risultato di calcoli tediosi. Vengono anche inclusi lunghi stralci di altri studi precedenti. Ma ci sono due elementi che mi fanno impazzire.
Il primo è la motivazione dello studio: trovare una spiegazione per i cicli glaciali e le fluttuazioni climatiche documentate dai geologi. È un esempio spettacolare di come, nella ricerca scientifica l’elemento di gran lunga più importante sono le domande. Le risposte possono cambiare anche molto rapidamente, le domande sono l’elemento persistente. A margine, è divertente pensare ad alcuni sviluppi paradossali del dibattito pubblico di oggi dov’è l’esistenza delle glaciazioni viene qualche volta usata per dimostrare che l’effetto serra non è un problema, il clima è sempre cambiato.
Un aspetto affascinante di questo lavoro è il fatto che Arrhenius utilizza, come base per i suoi calcoli una serie di misurazioni, una serie di misurazioni della temperatura della luna, eseguite da altri. E questo è un altro esempio spettacolare di come nella ricerca scientifica le scoperte e i progressi avvengano spesso nei modi più inaspettati, e di quanto sia dunque importante rendere accessibile a chiunque ogni risultato delle attività di ricerca.
Non sai mai cosa né fará chi arriverà dopo. I calcoli tediosi di Arrhenius arrivano ad un livello di accuratezza straordinaria, che anche con l’uso dei moderni super-calcolatori, e soprattutto con le moderne conoscenze della meccanica quantistica e della dinamica molecolare, è difficile superare.
Arrhenius si sofferma anche sul tasso di estrazione del carbone come fonte di anidride carbonica per l’atmosfera e conclude che non è un fattore preoccupante: si tratta di quantità modeste, e di una attività “temporanea” che non sarà in grado di modificare gli equilibri del sistema climatico. E purtroppo per noi, qui ha sbagliato di brutto, perché non si può mai sapere in quali guai sono capaci di andarsi a cacciare gli esseri umani.
Ad ogni modo, col mio mezzo a bassissime emissioni di gas serra, 180km con tre boccali di birra, sono arrivato a Capua dove la titolare del B&B mi ha consigliato una pizzeria che nel menù offre le “montanarine Cetara“. Queste consistono in uno spicchio di pizza fritta, con sopra un cucchiaio di burrata di bufala, un pomodoro secco e due alici marinate di Cetara.
Il fatto di dover lasciare Capua e non poter mangiare anche domani una quindicina di montanarine alla Cetara mi getta nello sconforto.