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Greve in Chianti / Imola

Partenza
Greve in Chianti
Arrivo
Imola
Giorno di viaggio
2
File gpx
Chilometraggio
135 Km
Dislivello in ascesa
1610 Mt
Tipologia di percorso
Paese
Fondo stradale
Le mie bici

La stanchezza e i materassini prestati dal padre di Stella rendono la nottata piacevolissima, a parte un po’ di umidità. Riparto prestissimo, ancora un po’ intontito, e alle 8 sono già in cammino sullo sterrato, e dopo la colazione a Greve, mi rimetto in cammino per godermi il meglio delle colline chiantigiane: i contorni modellati da vitigni e ulivi, in cui si incastonano splendidi casali più o meno antichi, e ancora saliscendi, anche se meno impegnativi; scorrono paesini da fiaba lungo la SP222, anziani che sorridono mentre si godono lo spettacolo del rado traffico della provinciale, un ciclista olandese diretto a Roma che si lamenta dell’ “hard climbing”, mentre per me che vado in direzione opposta alla sue le discese sono più frequenti delle salite: uno dei migliori tratti del viaggio; ma le cose peggiorano alle porte di Firenze: la provinciale confluisce in una serie di rotatorie trafficate e poi nella tangenziale, pericolosa e vietata alle bici; chiedo quindi informazioni per una strada alternativa a una pattuglia della Municipale, che mi consiglia di evitare l’ingresso a Firenze e di puntare per Pontassieve: dopo aver passato una frazione fiorentina praticamente deserta, e dopo aver ottenuto indicazioni da un benzinaio e poi da un signore che potava le piante del suo giardino, mi inoltro per una bella strada tra le colline, le viti e i casali, fino ad arrivare a Pontassieve, grazioso paese disposto lungo un fiume. Un anziano signore dall’espressione deformata scherza sulle distanze che copro, proseguo in direzione Borgo San Lorenzo ma capito di nuovo su un tratto della SS63 Faentina che porta a un lungo tunnel in salita non ciclabile: devo così tornare indietro, consigliato prima da un pappone in Smart fermo a bordo carreggiata, poi da un vecchietto in bici e canottiera bianca che pisciava dietro un cespuglio (e che sulle prime devo anche aver spaventato). Imbocco quindi una ciclabile che costeggia il fiume di Pontassieve, mi fermo a riposare, rifornirmi e scrivere alla Casa del Popolo di San Francesco, dove la cassiera e un simpatico signore baffuto mi fanno compagnia per un po’. Recuperate un po’ di energie con cioccolata e Gatorade, proseguo per la SS63 Faentina, dove il traffico è leggermente più intenso, ma il cammino è comunque piacevole; sulle rive del fiume vedo un enorme uccello trampoliere, forse un airone cinerino, che spicca il volo mostrando in pieno la sua apertura alare. Paesi e saliscendi si susseguono, immersi in verdissimi campi di lavanda e girasole che si snodano lungo la linea della ferrovia, mia compagna di viaggio. Devo attendere il transito del treno a un paio di passaggi a livello. Passano così Rufina, la bella Contea, dove ricarico il cellulare e faccio scorta di integratori da un simpatico tabaccaio strabico con la sua ragazza, e vengo fotografato in salita da una coppia di motociclisti tedeschi, e passano così anche Dicomano, Vicchio e infine Borgo San Lorenzo. La campagna è sempre stupenda, ma i 60 km già percorsi si fanno sentire, nonostante la soste: una alla SPAR a comprare pane e bresaola, e a conversare con un mendicante presumibilmente rumeno, una a chiedere informazioni sulla distanza per Borgo a uno strano signore fermo a bordo strada che sembrava aver problemi alla moto e invece aveva un normalissimo appuntamento in aperta campagna, e infine a un’antica fonte infestata da vespe e sanguisughe, dove faccio scorta d’acqua non senza qualche problema. Poco prima di Borgo il paesaggio cambia lievemente, perlomeno dal punto di vista “industriale”: ai campi e casali si sostituiscono aziende agricole, e passo a lato di un allevamento-macello di bovini “pura razza chianina”, dal quale vengono muggiti poco rassicuranti; si fanno più frequenti le indicazioni per l’autodromo del Mugello, il cartello corredato di una monoposto da formula uno stilizzata.

Arrivato al centro di Borgo San Lorenzo, vengo a sapere che i chilometri mancanti a Faenza sono ancora 71, più i 20 fino a Imola: decisamente troppo per chi ha già 60 km nelle gambe e un valico appenninico ancora davanti. La surreale chiacchierata (“ma 70 km da qui?” “Sì sì, io abito qui” “No, intendevo la distanza da qui a Imola” “Sì, 70 km”) con un balordo dentone con una maglietta scolorita dei Jethro Tull, evidentemente lo scemo del villaggio, mi convince così a “barare” evitando la salita fino al Passo della Colla (920 m s.l.m.) e scendendo in treno a Crespino in Lamone. Sul vecchio treno a gasolio c’è un gruppetto di rumorosi coattelli diretti a Riccione, una grassa mamma con bambino al seguito, e un rivenditore ambulante maghrebino che mi illustra i suoi continui spostamenti di lavoro: Firenze, Faenza, Ancona, Bologna, di nuovo Firenze.

Crespino è una comunità di ben due case, una stazione e un ristoro con tavolini all’aperto, nel silenzio di un bosco spettacolare: i 900 metri di quota si fanno sentire con un piacevole fresco, alimentato anche dallo scroscio del torrente poco sotto la strada e dalle fronde di alberi altissimi. Dopo aver tentato inutilmente di ottenere informazioni da tre piccole ragazze scout (“Non siamo di qui”, belle scout!), mi fermo a parlare con un ciclista a una fonte al valico: ha una bici da corsa, nessun carico e sta facendo una gita giornaliera, è partito dal versante romagnolo. “Ti ammiro”, mi dice, “per la tua scelta; noi [ma noi, chi?] invece siamo pure troppo fighetti, con tutti gli accessori che abbiamo… ma hai tutto, camere d’aria, ti serve qualcosa?”

Mi metto in marcia insieme al secondo compagno di viaggio della giornata, il torrente: di qui in poi, esiste solo lui, la roccia, le curve improvvise e qualche urlo nella discesa: è solo perché non ricordo più il suono della mia voce. Come incorniciati da torrente e ferrovia, con la due-corsie che gli serpeggia dentro, scorrono in tal modo Biforco, Marradi e Brisighella: il torrente è cresciuto e si è calmato, e le anatre nelle sue acque a Marradi testimoniano la sua raggiunta maturità e pacatezza.

I campi di girasole e i pascoli me li godo a soste forzate, imposte da nuovi passaggi di treni e barriere che si abbassano nel tintinnio di segnali a me inconsueti. Due minuti di silenzio, in fila insieme alle altre vetture ora a me accomunate nella velocità (zero), trenta secondi di ferraglia e di vagoni, e si riparte.

Brisighella, città del finocchione e di tradizioni partigiane, mi accoglie ora con un manifesto della Lega Nord; a Faenza invece accedo tra campi pianeggianti e piste ciclabili, nell’incredibile perfezione romagnola… la bicicletta qui è il mezzo più comune e usato, dalla pensionata all’immigrato, dallo sportivo alla studentessa. Prima di imboccare la via Emilia e gli ultimi 20 km di cammino di questa lunghissima tappa, mi fermo a riempire un’ennesima volta le bottiglie, e scambio qualche parola con un ciclista amatoriale, fisico palestrato e faccione grasso e simpatico. Ne incontro un altro simile più in là sulla via Emilia, che pur mantenendo un’espressione dura mi fa molti complimenti e mi rivolge la singolare domanda “Ma com’è vivere in bici?”. Tra le ciclabili e i tir arrivo finalmente a Imola, dove alla stazione mi attendono Giulia e il suo ragazzo, per portarmi a casa loro. Lì conosco la cugina e coinquilina di Giulia, e Falcor, il suo bellissimo e affettuosissimo cane. Una doccia e una carbonara mi rimettono al mondo, e la sera visitiamo (in macchina) due paesini vicini: Dozza e il suo bel borgo medievale arroccato su una collina, murales su ogni casa, e di nuovo Brisighella, incorniciata da vecchi portici con le intravature di legno incurvato. Birra locale (una weiss artigianale, la Bruma), quattro chiacchiere di politica, di estetica (il ragazzo di Giulia è filosofo) e diritto (Giulia studia giurisprudenza), uno scambio di canzoni e di idee (Guccini docet, il vino pure) e sopraggiunge il sonno fra mille dolori e articolazioni che ritrovano il loro posto.