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Grosseto – Siena

Partenza
Grosseto
Arrivo
Siena
Giorno di viaggio
2
File gpx
Chilometraggio
92.2 Km
Dislivello in ascesa
1250 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Paese
Fondo stradale
Diario
Cialtroni
Le mie bici

La scoperta del BCP

La mattina ci coglie rilassati e pronti a spostarci verso Nord. La decisione per la meta di questa prima tappa ricade finalmente su Siena, ma senza troppo impegno, dove si arriva si arriva. La prima mossa appena lasciata Grosseto consiste nel fare scorte alimentari in un supermercato: io attendo fuori a guardare le bici mentre Fabio e Saverio si occupano della spesa, e quando tornano portano con sé il primo racconto di disagio che il Viaggio con la V maiuscola si porta appresso in maniera inesorabile: durante la scelta della frutta al banco ortaggi, ai due capita il numero 69, che ingenuamente letto ad alta voce causa l’estatica reazione di un anziano ma arzillo signore dal marcato accento toscano: “Sessantanove? Eh, bel numero, bel numero”, ripete con fare ammiccante.

Lo stesso signore mi intercetta mentre staziono presso le bici, vede l’ammasso di bagagli e sacche caricati e si ferma a commentare nostalgico: “Eh, andate in bici eh? Bravi, bravi, fate bene! Verrei con voi… ma mi hanno tolto un polmone, me n’è rimasto uno solo, quindi mi faccio solo i giretti vicino casa mia… ma voi fate bene, eh! Se non stessi così, davvero verrei con voi! Buon viaggio, buon viaggio!”

Seconda colazione a un bar, lego la baguette di ordinanza in compagnia dei sandali sopra il mio zaino, e ci inoltriamo nella campagna maremmana. La barista è ulteriormente spaventata dall’ingresso di Saverio con casco in testa sul quale troneggia la sua Go-Pro montata su un supporto che deve averle dato l’impressione di un’invasione aliena.  A spiegazioni avvenute, c’è ammirazione diffusa.

Pianura ridente, cielo azzurro costellato di nubi bianco panna. Partiamo spediti su un rettilineo a velocità sostenuta, in lontananza echeggia uno sparo di un fucile da caccia. Il boato causa in me pensieri da gallo cedrone munito di Ortlieb e freddato per tragica fatalità. Il nostro cammino si snoda per strade provinciali attorno alle Aurelie, quella antica e quella nuova, fino ad arrivare a Braccagni.

Qui durante una pausa notiamo della materia organica e viscosa sulla ruota anteriore della bici di Saverio. Incerti sulla sua provenienza, dopo attimi di esitazione riconosciamo in quella specie di organismo unicellulare i miseri resti di una lumaca calpestata illo tempore e vilipesa nella memoria da interminabili giri di ruota, che ne hanno sparso frammenti sulla parte inferiore del portapacchi come fosse marmellata su una fetta biscottata. Risa ciniche di oltraggio.

Da qui in poi la pianura si fa più ombrosa e la campagna più bella. La pausa successiva la facciamo in prossimità del Fosso dell’Ingegnere, toponimo che esige una foto dati gli studi pregressi di Fabio e Saverio. Questa sosta è resa più lunga dalle difficoltà di assetto del manubrio della bici di Saverio, che sfodera la seguente, lapidaria massima:

“Partì pe’ un viaggio co’ ‘na bici nuova è come fa’ un figlio co’ una che non conosci”

Niente di più vero.

L’azzurro del cielo cede il passo a nubi sempre più ingombranti, e con rapidità impietosa ci ritroviamo sotto un violento acquazzone. La caduta delle gocce è così violenta da costringerci a cercare rifugio in un bar.

Un bar?

Una bisca?

Un’osteria?

A prescindere dal nome, un ambiente popolato da novantenni viziosi con la passione del gioco, la cui simpatia è nostra facile preda: ci offrono grappini e ci invitano a rimanere con loro, tra bestemmie e intercalari impronunciabili. Il temporale nel frattempo sfoga la sua frustrazione lasciando la scena a un persistente odore di pini bagnati. Decliniamo i grappini optando per un cappuccino, salutiamo i vecchi malvissuti rubando un’immagine di quel pittoresco quadretto, e proseguiamo.

La marcia dopo il temporale è più lenta, ma serena. Le curve della provinciale svelano al nostro passaggio campi di lavanda, grano e querce che si alternano a rettilinei che oltrepassano filari di pini. È un maggio isterico, fatto di sole vento e pioggia, con mutamenti di tempo repentini che ci lasciano il bagnato addosso sorpreso a farsi asciugare dal bel tempo.

La nostra meta per l’ora di pranzo è il paese di Roccastrada, ma come ogni obiettivo tocca pagà pegno: e la Toscana non è certo famosa per le sue pianure, mentre molto più noti sono i ridenti colli. Evidentemente chi li ha definiti ridenti non usava la bici. In altre parole, comincia la salita.

Per l’occasione viene coniata appositamente l’unità di misura del BCP (Bucio de Culo Percepito), l’unica in grado di quantificare una salita da affrontare sul sellino. I tornanti si susseguono implacabili, si levano alte le prime imprecazioni.

Giunti a un bivio poco prima del paese, i nostri sforzi vengono ripagati da un improvviso spazio aperto, un’insalata di prato e cielo che convergono in un punto di fuga nascosto dalle nuvole. Roccastrada è vicina, il pranzo pure.

Dopo l’ultimo strappo come aperitivo, il pranzo arriva puntuale. La piazzetta centrale di Roccastrada diventa nostro avamposto per un’oretta, e le vetrine serrate dei negozi di paese assistono ai meticolosi riti di preparazione dei panini: affettare, condire, chiudere, far sparire le prove. L’imponente baguette cambia forma e postazione nel nostro carico, la panchina assiste impotente allo scempio, la fontanella si limita ad annuire buttando acqua. La desolazione del primo pomeriggio assume colori surreali.

Parcheggiato davanti a noi, un fuoristrada con pick-up ostenta fiero un cono gelato gigante. Poco distante, il borgo medievale, e un cartello di regole da osservare all’interno dei giardinetti, in cui il disegno pare imporre il collare ad Anubi. Tutto nella norma, insomma.

I colli senesi continuano a farsi sentire anche dopo, forse per favorire la digestione, e dopo una bella discesa nei boschi all’uscita di Roccastrada passiamo Torniella, e riprendono le salite. Il BCP aumenta. Ed è a questo punto che Saverio tira fuori la bacchetta magica per documentare il nostro viaggio a suon di Go-Pro, estraendo dalle sacche una bacchetta telescopica per le riprese video. Il trionfo della tecnologia. Io povero troll assisto ammirato. Uh.

È metà pomeriggio quando facciamo il nostro ingresso nella piazza centrale di Monticiano, grazioso borgo inerpicato su un colle i cui bar e tavolini all’aperto affacciano sull’immancabile monumento con giardinetti. La popolazione del paese, che vanta esemplari di ogni generazione divisa per gruppetti, vede arrivare tre bruti sudati e li osserva incuriosita. Come in altri luoghi, il branco degli anziani è particolarmente interessato. Siena è piuttosto vicina, così decido di concedermi un bicchiere di Chianti, vera bevanda dello sportivo con 70 chilometri nelle gambe e altri 25 da fare. Saverio ricerca su tripadvisor dei posti per dormire, trovando un ostello in centro.

“Dai, stasera ci trattiamo bene che avremo fatto un centinaio di chilometri, le tende le useremo i prossimi giorni”.

Scartati in scioltezza una chiassosa manifestazione sportiva locale e un breve rovescio temporalesco, guadagniamo l’uscita dal paese e una nuova, breve discesa che allieva il BCP. Ancora qualche chilometro di rettilineo pianeggiante, in cui l’orizzonte si allarga lasciando intravedere la nostra meta.

Siena ci attende in cima al pizzo sul quale poggia, rinchiusa nelle sue mura medievali,  e prima del salitone finale ci tocca attraversare la statale. Io e Saverio la passiamo in scioltezza approfittando di un varco nel traffico, Fabio preferisce allungare di mezzo chilometro seguendo scrupolosamente un’interminabile rotatoria.

“Aho, a te vive in Olanda te fa male!”

I vicoli che conducono a piazza del Campo hanno una pendenza percentuale impietosa, e mentre gli altri due si armano di buonsenso e scendono di sella, io mi incaponisco in preda a un idiota senso di etica della salita, per deporre un polmone ai piedi dell’Abbazia della Fiastra. Ora i conti col vecchietto grossetano sono pari.

La bellezza di Siena, microcosmo merlato che basta a sé stesso, campo di battaglia di palii feroci dove le faide dei colori locali si cibano di cavalli innocenti, è come al solito commovente.

E noi rimaniamo commossi anche dalla cena alla trattoria Papei, in compagnia della famiglia del cugino di Saverio.

http://vimeo.com/66910848

Foto