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Ijzendijke / Gent

Partenza
Ijzendijke
Arrivo
Gent
Giorno di viaggio
5
File gpx
Chilometraggio
92 Km
Dislivello in ascesa
130 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Paese
Fondo stradale
Cialtroni
Le mie bici

Il Paese delle Cozze

Ci svegliamo presto, e scesi giù troviamo una sontuosa colazione salata che la sorella del roito occhialuto ha preparato per i simpatici gay italiani: uova alla coque, prosciutto e formaggi, burro, marmellate e tè. Insieme alla stanza, 52 € in due, se po’ fa’.

Ci si avvia così per ciclabili di campagna molto belle, il cui percorso si snoda tra filari di alberi color ruggine e campi coltivati dove aleggiano i corvi di Van Gogh.

Ovunque, ancora, le anatre, padrone incontrastate di queste terre.

Lasciata Ijzendijke, siamo sorprese da uno scroscio improvviso, ma ormai la pioggia non ci fa più alcun effetto, e si parla allegramente del più e del meno sotto le secchiate continue, mentre si sorpassano corridoi alberati lastricati di inspiegabili sanpietrini. Con questo passo sereno e spedito giungiamo alla memorabile cittadina di Philippine, nome che tiene sotto di sé quattro casette in croce rese famose dai loro dieci ristoranti di cozze uno in fila all’altro.

La cozza, come ci racconta entusiasta un’attempata signora del posto con la testa coperta da una busta di plastica, è il simbolo di Philippine, qualcosa di cui andare davvero fieri: ci dice le stesse cose anche il monumento che porta la sua forma, e così la panchina-mitile di fronte ad esso, ma senza parlare tanto come la vecchia imbustata.

Philippine, tu e le tue cozze vi siete meritati una spesa alla SPAR. E pure noi.

Così i cornetti e il succo di frutta, uniti agli ormai immancabili stroopwafels, provvedono alla nostra seconda, robusta colazione. Sono le 12.30.

Il Belgio e i suoi pastori

Tra canali e deviazioni ciclabili, dopo averlo lambito e accarezzato per una ventina di chilometri, arriviamo al confine con il Belgio, trovandoci in un surreale passaggio pedonale dove non è né Belgio né Olanda. La ciclabile, stufa del paradosso, torna in Olanda, e passiamo più in là il confine senza che sia segnalato, se non dalla presenza di targhe e cartelli in fiammingo.

Il Belgio: nazione culturalmente lacerata, regno-bluff conteso tra francofoni e fiamminghi, comunità linguistiche differenti che non furono volute né da Francia né da Olanda.

Il passaggio del confine segna un altro stacco netto: edifici, fondo ciclabile, stile e modo di utilizzare il territorio, qui in confronto all’Olanda tutto sembra più scarno, lasciato a sé stesso, quasi periferico. L’odore di merda vaccina si fa persistente. I primi passi che tocchiamo oltre il confine sono Zelzate, Wachtebeke e Moerbeke. Costeggiamo un canale alberato; dall’altro lato, villette a schiera e/o in costruzione. Meno amore per la terra.

Ancora anatre e anatroccoli.

Qualche fagiano scappa via nei campi arati.

Passato un ponticello, pensiamo di essere arrivati alle porte di Anversa, ma delle persone ferme a un negozio di biciclette ci dicono che mancano ancora sedici chilometri, forse qualcosa di più; il fiammingo è però ostico anche per Fabio, e quando chiede conferma capisce che i chilometri sono sessanta e non sedici. Le ciclabili si fanno strette e dissestate, l’andatura più attenta e meno rilassata.

Arriviamo così a Stekene, dove dopo un consiglio-lampo prendiamo una decisione netta: niente più Anversa, si punta direttamente su Gent. Tanto chi avrebbe potuto ospitarci su Warmshowers aveva già declinato, l’amica di Fabio è in un paesino ancora oltre Anversa, di Brussels non se ne parla neanche… Accettando in questo modo l’ennesimo allungamento di strada, puntiamo a sud verso Sinaai, poi a ovest per una statale che ci saremmo volentieri risparmiati fino a Zaffelare, e arriviamo così a Lochristi: qui finalmente troviamo della vita umana, anche se l’atmosfera blanda pervade ogni muro e ogni angolo. Chiediamo informazioni senza fermarci, Fabio urla in olandese chiedendo conferma della direzione per Gent, e un gruppo di anziani ci risponde una sequela di “Ja” a toni e registri tutti diversi, in rapida successione, come se fosse uno stormo di gabbiani rincoglioniti e ansiosi di dire ciò che sanno.

Costeggiando la trafficata N70 sotto la pioggia battente, guadagniamo finalmente il nostro ingresso a Gent, e la traversiamo da un lato all’altro per un primo assaggio del suo meraviglioso centro; le cattedrali paiono sovrapporsi l’una all’altra, mentre proseguiamo conto almeno sei possibili duomi, con le guglie che si sfidano tra loro in altezza per arrivare prime al regno dei cieli.

Le case tradizionali fiamminghe sono bomboniere decorate a mano in ogni minimo dettaglio.

Ormai fradici, arriviamo al laghetto sportivo che costeggia il campeggio Blaarmeersen, ma non c’è pace per chi cerca l’asciutto nei paesi nordici: sotto quella stessa pioggia impietosa ci tocca montare la tenda; a condividere un po’ del nostro disagio è una simpatica coppia, lui belga, lei giapponese, coi quali ci fermiamo a chiacchierare.

La cena a scatolette e zuppe liofilizzate la consumiamo nelle lattine conservate nei giorni scorsi, utilizzando l’acqua calda dei rubinetti che sarebbe destinata al lavaggio stoviglie.

Ora tra noi e il sacco a pelo resta a dividerci soltanto una doccia in un bagno invaso da fangosi e stupidi bambini scout che fanno giochi di società scalzi tra i lavandini merdosi, e noncuranti di tutto ciò e dello schifo che suscitano in noi, urlano e ridono.

Prima di andare a dormire, chiedo a una signora tedesca se l’acqua sia potabile:

-I think so, I’m not sure.

-Ok, I try. Hope to remain alive.

La mattina successiva la incontro, ma non la riconosco. Lei:

– Did you survive? You have drunk the water?

E ride di ciò che lei stessa ha detto.

Foto