Ksamil – Syri I Kaltër
Ci svegliamo con mooolta calma in quel di Ksamil, dove abbiamo approfittato dei costi bassi per quattro mura e un letto per recuperare il sonno della notte precedente in traghetto. Le architetture del paese sono un ibrido di ammassi di lamiera e residence vacanza biancastri, con balaustre di alluminio per lo street food. A uno di questi ci fermiamo per colazione, dove veniamo riempiti di crêpes e dolci locali pesantissimi. Attraverso la costiera arriviamo così a Sarandë, per una strada che è una lingua di terra tra il mare e un’enorme laguna salata. La condotta di guida albanese inizia a farsi sentire, con sorpassi azzardati e distanze di sicurezza inesistenti. Lo Spirito del Tamarro Slavo inizia a manifestarsi.
Sarandë è una città alla moda (alla loro moda) piena di grattacieli e abusivismi, un paio di colline affacciate su una baia cristallina completamente deturpate dall’edilizia postsovietica. Qui incontriamo una coppia di torinesi che portano in giro uno spettacolo di marionette, lui in tallbike, lei in pieghevole. Nella foto che ci facciamo insieme si insinuano locali entusiasti e sdentati, ostentando i pollici a mo’ di ok. Uscendo da Sarandë ci tocca un dislivello impietoso e obbligato sotto al sole del dopopranzo, per poi immetterci nella strada per Syri I Kaltër. Qui la provinciale si fa stretta e trafficata, ma anche molto bella e boscosa. Arriviamo nel pomeriggio al Blue Eye per uno sterrato polveroso, in implacabile saliscendi. Qui ci accolgono due chioschi sul fiume ombroso, qui decidiamo di campeggiare nel fresco umido.
Il blue Eye è una sorgente naturale di acqua gelida, una voragine profonda 50 metri che genera un fiume limpidissimo. Tento senza successo di immergermi nelle sue acque a 10 gradi, surclassato da famigliola del norditalia conla quale condividiamo il tavolo a cena.
Sulla strada per il Blue Eye, svariate fonti di acqua fresca: a una di queste incontriamo dei napoletani obesi e ipertatuati intenti a lavare la macchina dopo la polvere per lo sterrato che ci aspetta. Ci avvertono che l’ultimo tratto è impervio.
La rivalità tra i due chioschi a Siry I Kaltër è sintomatica: il Blue Eye è una piccola miniera d’oro in un paese ancora poco turistico, ed è facile immaginare concessioni contese, licenze e appalti strappati in uno dei pochi posti che attira gente dai Paesi vicini. Al primo chiosco un gabbiotto di legno sulla riva è usato come cucina da campo: le donne lavano le stoviglie con le acque del fiume, mentre odore di maiale e capretto arrosto si diffondono nell’aria. Ci dicono che è possibile fare campeggio libero, ma che non ci sono stanze o bungalow. Andando avanti al secondo chiosco, leggiamo la scritta “hotel”. Ci viene mostrato un capanno di legno con quattro letti e bagno privato, a bordo fiume, pieno di cuccioli di gatto, prezzo proposto 40 euro. Quando ci accorgiamo che lo scarico non funziona e che il lavandino perde acqua sul pavimento, chiediamo all’insopportabile tizio uno sconto, e al suo rifiuto lasciamo la stanza facendoci ridare i soldi. L’orgoglio prevale sulla comodità, meglio la tenda che scendere a patti con quello.
L’Albania è il bambino del consumismo: usano le automobili come giocattoli, non conoscono il concetto di ecologia. Che obbrobrio, dice l’uomo bianco occidentale. Ma come, ci avete insegnato voi così tempo fa, risponde l’uomo più bianco orientale. Ci avete tolto la civiltà agricola e ci avete insegnato un brutto a metà, senza neanche finire il programma, facendoci assaporare un’ombra del cosiddetto progresso. Ora ammassiamo bidoni di latta e pascoliamo le capre nella lamiera, mandiamo musica trash a palla e svendiamo le nostre meraviglie naturali, quelle che non abbiamo ancora distrutto, per farvi piacere e riprenderci un po’ di quello che ci avete tolto. In lek o in euro, fa lo stesso.