LA GENESI DEL VIAGGIO
Un viaggio da soli porta con sé qualcosa di solenne, di epico, e di profondamente stupido.
Per esempio, potrebbe significare che nessuno era libero nel periodo in cui hai deciso di affrontare la Francia, la Spagna e i Pirenei. Oppure, più verosimilmente, che nessuno era disposto ad accompagnarti in quest’idiozia.
Ma visto che a noi ce piace giocà a carte, famo scopa e sommiamo all’idiozia del viaggio in sé, una marcia forzata di quasi cento chilometri di pedalate al giorno, l’idiozia del farlo da soli.
Ma tant’è.
Gli obiettivi stavolta sono molteplici:
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allungare le distanze dei miei viaggi e superare finalmente il muro dei mille chilometri;
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sfidare le pendenze dei Pirenei e superare i duemila metri di quota;
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come ogni viaggio fatto, dare un simbolo e un valore alle mete toccate: niente è casuale;
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spendere il meno possibile. L’ultimo viaggio in Toscana mi ha viziato troppo, è tempo di ascesi.
Per realizzare quest’ultimo e fondamentale obiettivo, prima di partire lavoro un po’ a un semiserio (tanto per cambiare) piano spese. Comincio stilando le voci:
Innanzitutto, l’andata e il ritorno.
Comincio prenotando un volo economico con Transavia, un centinaio di euro con bici al seguito, e una ben più economica traversata in nave per tornare da Barcellona. 18 ore di traghetto, passaggio ponte: la prima classe costava mille lire, la seconda cento, la mia dolore e spavento. Oltretutto, dopo 1200 km contavo di puzzare di sudore nel boccaporto e odore di mare morto, quindi sarebbe andata più che bene.
L’attrezzatura?
Quella l’ho già tutta, niente spese aggiuntive. Sarebbe bello però documentare il viaggio con qualcosa di un tantino più professionale di un cellulare, quindi rimedio in prestito una vecchia Lumix da Gianluca e una videocamera da Sandro. E per me bastano e avanzano. Anzi, già siamo al limite del peso-forma.
Ma ora il colpo di genio: elimino la voce “pernottamenti” dal mio budget per tuffarmi – con la mancanza di dignità di un assetato nel Sahara che vede una Sprite sgasata – nel fantastico mondo del couchsurfing. Può un ciclista solitario&unpo’sfigato esimersi da quell’alone di naturale simpatia con un retrogusto di bonaria commiserazione? Può il couchsurfer medio rimanere impassibile di fronte alla prospettiva di una sera – una sola sera, sì! Mica me te piazzo dentro casa per tutta l’alta stagione! – passata in compagnia di quest’individuo e del suo francese maccheronico o del suo inglese di scorta, ma soprattutto del suo repertorio di luoghi comuni sul suo viaggio e la fame che si porta appresso chilometro dopo chilometro?
Viva la Franza, viva la Spagna, purché se magna.
Resta solo il Cibo,
supremo compagno di viaggio e giudice ultimo del mio incedere,
responsabile di un passo blando o di una volata interminabile e forsennata,
meta ultima e fine a sé stessa,
per la stessa ragione del viaggio: mangiare.
Ma grazie alla pregiata ospitalità couchsurfer, mi attende soltanto una copertura alimentare di mezza pensione, e quel po’ di cibo che si trova.
Dopo un paio di settimane di ricerca contatti e pianificazione itinerario, prendono forma le tredici tappe, una in più delle stazioni del Calvario, una fuga disperata da sé stessi e dal concetto di cartografia stesso prima ancora che un viaggio. A lavoro ultimato, mi rendo conto che per soddisfare le mie idealistiche esigenze di viaggio simbolico ho creato un programma che prevede 1200 km di crepe a fendere il dolce sud francese e l’aspro nord spagnolo, con un solo giorno di pausa in mezzo. Ma in mezzo, insieme al riposo toulousienne, ci sono anche gli Altissimi&Improvvisi, i Pirenei. E il percorso che ho scelto (=nel quale ho riposto le mie infantili fissazioni) prevede il passaggio per uno Stato Inutile, Andorra. Così, giusto per fare numero. Così, perché sono curioso. Così, perché solo dopo aver deciso che doveva essere così noto che il valico di Port d’Envalira è a più di 2.400 metri sul livello del mare, e che quel giorno avrei dovuto scalare un dislivello di 1.800 metri in 70 km.
Ma questo è soltanto un esempio del mio fondamentalismo per il lato simbolico.
Il 2012 è stato l’anno della Rotterdam/Parigi: l’Atlantico del Nord, le dighe, l’Olanda e il nord della Francia, fino alla capitale. In un primo momento questo 2013 l’avrei voluto far ripartire proprio dalla Ville Lumière, e riprendere esattamente da dove avevo iniziato, per continuare con la seconda tappa della Trilogia Atlantica, ma la distanza eccessiva in relazione al tempo a disposizione e soprattutto l’assenza di un volo Transavia in cui potessi lasciare la bici montata mi hanno convinto a prendermi uno sconto e a partire da Nantes.
Ma la visione delle guglie di Gaudì all’orizzonte come ideale traguardo, dopo l’esperienza purificatrice degli aspri monti, era un’immagine pregustata da troppo tempo e nessuno me l’avrebbe tolta.
Tra l’altro, in questo modo i due estremi del viaggio sarebbero stati gli unici in cui avessi potuto godere di compagnia troll DOC, Francesco alla partenza e Adriano all’arrivo, e dunque di altre notti a scrocco.
E proprio in questo risiede la vera estetica abbondante e dozzinale: compiacersi di inanellare convenienze e opportunità superficiali andando incontro a rischi e difficoltà ben maggiori, oppure progettare un’impresa in maniera capillare e grandiosa per ottenere risultati stupidi. E magari scegliere di vivere per qualche giorno allo stato brado, per fare economie, ma poi entrare in ristorante. Puro Titanismo Troll.