LA VOCE
L’obiettivo del secondo giorno di viaggio era arrivare a Benevento e concedersi una giornata di recupero, ma i piani sono andati a farsi friggere – se hai un piano, friggilo – e sono arrivato ad Ariano Irpino.
Da Capua sono partito presto, l’aria era fresca, c’era un bel silenzio in mezzo ai boschi, molto diverso dalla confusione in cui ero immerso ieri pedalando lungo la costa. Poi sono cominciati i vigneti di Solopaca, e qui mi sono procurato un piccolo infortunio – se vogliamo chiamarlo così – che mi accompagnerà per i prossimi giorni. Ma ne riparliamo dopo.
Mi ritrovo a Benevento all’ora di pranzo e la prima cosa che incontro ai bordi della città è una fornitissima enoteca di nome Elisa. Mi hanno fatto notare che durante il viaggio sto bevendo troppa birra e questo fa salire signifcativamente l’impronta di carbonio di tutto il viaggio. Ed è vero.
Secondo le informazioni raccolte da www.co2everything.com un boccale di birra (circa 400ml) richiede il doppio di emissioni di anidride carbonica rispetto a un calice di vino (circa 150ml): 250 g di CO2 per la birra contro 130g per il vino. I numeri non sono troppo diversi da quelli presentati dal Food Climate Research Network, che suggerisce 330g di anidride carbonica per una pinta di birra e 275g per un bicchiere di vino. Annotare tuttavia che un doppio shottino di gin richiede solo 123g di gas serra.
Nel 2012 Tuomas Mattila e altri colleghi tentano di rispondere a questa domanda fondamentale sull’International Journal of Life Cycle Assessment: “Uncertainty in environmentally conscious decision making: beer or wine?“. La conclusione principale di questo studio è che in media la birra ha un impronta di carbonio superiore rispetto al vino, anche se il livello di incertezza legato alle scelta adottate durante diverse fasi del ciclo produttivo portano in alcuni casi a conclusioni opposte.
Abbiamo però una certezza: il gin batte tutti.
Ma torniamo da Elisa a Benevento. Chiedo un calice di bianco, freddo.
Luigi, il titolare dell’enoteca, simpatico come lo spigolo del vecchio armadio di nonna contro il mignolo destro il lunedì mattina, mi serve un Fiano della zona, profumatissimo. Perlomeno non ha fatto troppa strada, e questo dovrebbe permettermi di stare in quella parte dell’incertezza in cui il vino vince sulla birra la battaglia delle emissioni di gas serra. Per cui mi concedo anche un secondo calice. Purtroppo, penso, non sarebbe saggio portarsi via tutta la bottiglia.
Mentre sono lì a godermi il vino cerco di pensare anche al da farsi. Mancano 42 km per il arrivare a metà del viaggio, che corrisponde anche al punto più alto di tutto il percorso, nonché al punto medio della penisola fra Ionio e Tirreno. Dicono che Federico II di Svevia abbia piazzato un importante presidio militare ad Ariano Irpino, da dove poteva controllare sia il golfo di Manfredonia che il golfo di Salerno. Non ho verificato questa notizia appresa mentre bevevo un caffè al bar, ma sembra plausibile.
Non sono ancora le 14.00 ho bevuto due calici di Fiano bello freddo e decido di proseguire. Chiamo il primo agriturismo intorno all’ipotetico punto di arrivo. Hanno posto, vado.
La salita del pomeriggio si risolve in una lunghissima imprecazione. Non contro la pendenza della strada, persistente ma mai severa. L’imprecazione è tutta contro me stesso e l’infortunio che mi sono procurato in mattinata fra i vigneti di Solopaca. Lungo un brevissimo strappo in salita, uno di quei salti di pochi metri molto ripidi che possono capitare in campagna, sotto l’effetto di endorfine, dopamine e altre droghe naturali che il mio corpo sta producendo a ettolitri, spingo troppo sul ginocchio destro e inizio ad avvertire un fastidio. Non è nemmeno un dolore ma una specie di impercettibile voce interna che a ogni colpo di pedale continua a ripetermi “Sei un coglione!“.
La voce mi accompagna per tutto il pomeriggio. Cerco di non ascoltarla riempiendomi le orecchie con The Bend, con Ten, ma niente. Sta stronza! In qualche modo io e La Voce arriviamo all’agriturismo, in cima ad un colle da dove effettivamente pare di vedere tutta la penisola dal Tirreno allo Ionio.
La cena è così abbondante che – mi vergogno un po’ – ho detto di no al dolce e ho lasciato alcuni chicchi d’uva nel piatto. Per la cena e il pernotto spendo 55€ e chiedo se sono sicuri di aver incluso anche la cena nel conto: sono sicuri.
Spero che La Voce sia soddisfatta e che domani la smetta.