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Lago di Martignano / Civita Castellana

Partenza
Lago di Martignano
Arrivo
Civita Castellana
Giorno di viaggio
2
File gpx
Chilometraggio
36 Km
Dislivello in ascesa
430 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Paese
Fondo stradale
Diario
Cialtroni
Le mie bici

Mattinata tiepida, risveglio che passa dalle gocce di umidità condensata fuori e dentro la tenda fino ad arrivare alle acque del lago di Martignano, con tanto di nuotata rigenerante. Poi, colazione con mandorle, miele e succo di frutta, e di nuovo in marcia, tanto il costume si asciugerà nella brezza mattutina.

Ripercorriamo lo sterrato, e ci fermiamo alla fonte per fare acqua. Un signore piuttosto anziano che riempie svariate bottiglie ci consiglia una ciclabile che ci permette di evitare di allungare per Anguillara. “Ieri me so’ piombati a casa quattro nipotini, due figli, due nuore e una moglie… e nun se respirava a casa… oggi che so’ annati a fa’ un giro, me sto a riposa’ un po’…”.

Percorriamo un paio di chilometri di sterrato tra i campi, per poi immetterci di nuovo sul lungolago a est, in direzione Trevignano, su una bellissima provinciale ombrosa che stamattina si affaccia su una tavola di tutte le tonalità dell’azzurro. Svoltiamo a destra verso la Cassia prima di entrare a Trevignano, e una dura salita ci sorprende ancora mezzi addormentati, mentre ci allontaniamo dal lago. Dopo aver guadagnato una certa quota, si apre l’ennesimo scenario agricolo, buoi bianchi al pascolo, ponti romani in muratura, campi di pannocchie, e sullo sfondo già il Soratte che guarda e annuisce in silenzio.

Arriviamo così ad incrociare la Cassia, e dopo aver resistito alla tentazione di deviare per Calcata e la valle del Treja, che è appena a una decina di chilometri, proseguiamo per Nepi. Prima di imboccare i tremendi 500 metri di Cassia tra i TIR sotto il sole, ci fermiamo a parlare con due attempati pellegrini sulla via Francigena; i due signori vengono da Radicofani, armati di bastoni da cammino, e sono diretti a Roma; consultata la loro e la nostra cartina (la nostra è disegnata a penna da Federico, che l’ha ricopiata dallo schermata di Google Maps, non avendo nessuno di noi una stampante funzionante), decidiamo di affrontare questo breve tratto di Cassia sfruttando anche la complanare ad essa parallela, per poi uscire subito per Nepi, prendendo la Via dell’Umiltà (l’uscita si chiama proprio così). Ci ritroviamo così nell’ennesimo tipo di campagna diverso, con vastissime praterie, querce ed eucalipti sparsi, campi deserti a perdita d’occhio e covoni di paglia. Alla nostra destra, parallela a noi scorre l’antica via Amerina, strada romana del III sec. d.C., lastricata a pietroni e coperta dai rovi. Due cani bianchi, poco più che cuccioli, ci seguono per un po’, arrancando per la velocità. Quando ci fermiamo per giocare un po’ con loro e per cogliere delle more, ci abbaiano da un centinaio di metri, con fare sbruffone ma allarmato.

Poco più avanti, incontriamo quattro signori tedeschi, probabilmente due coppie, che percorrono la via Francigena verso Roma. Vengono da Firenze e poi Assisi, ci spiegano nella loro lingua, incoraggiati ad usarla da qualche parola di Federico, e perdono continuamente il percorso della via per le scarse indicazioni. Proseguiamo per altre salite intervallate da brevi tregue, fino ad arrivare al bel borgo medievale di Nepi, verso l’ora di pranzo. Nella desolazione assolata di un parco pubblico finiamo le nostre provviste, pane, pomodori, ceci e tonno, e ci riposiamo un po’ sfuggendo al caldo con gli irrigatori automatici delle aiuole, in compagnia di api e vespe. Sono le 14, da qui a Civita Castellana ci sono ancora 11 km, e un’ora dopo Federico deve incontrare don Romano, suo amico già parroco e ora vescovo del paese (da precisare che questo appuntamento è il motivo ufficiale del viaggio, mentre gli infiniti motivi ufficiosi si leggono in queste e tra queste righe). Lasciamo quindi Nepi e il suo castello, oltrepassiamo l’acquedotto romano e dopo cinque/sei chilometri di saliscendi, ma stavolta dolce e piacevole per la brevità dei dislivelli, il tratto restante per Civita Castellana è un falsopiano in leggerissima, impercettibile discesa, che aiuta la pedalata senza però renderla inutile. La strada scorre liscia e alberata, un tunnel di castagni, querce e platani ci scorta attraverso distese ingiallite dal sole, mentre perfino il Soratte si fa più vicino allo sguardo, e il risucchio dell’aria in scia ci conferisce ulteriore slancio reciproco.

Arriviamo così in perfetto orario, per le 15, a Civita Castellana e alle sue case di tufo: ad intrattenerci in attesa dell’arrivo di don Romano è una freschissima fonte, costruita aere publico, e la stupenda facciata del Duomo dove, secondo una targa di marmo, una domenica del 1770 “fu permesso” a un tale W.A. Mozart di passaggio per quei posti di suonare l’organo durante la messa. La città, vista l’ora e il giorno, è semideserta, anche se il portico della facciata ci fa ombra e compagnia. Mentre Federico visita don Romano, io e Laura ci aggiriamo per le vie del centro, alla vana ricerca di un bar. Quando torna, si presenta con tre lattine di Peroni ghiacciata, offerte dal vescovo in persona, che tracanniamo alla sua salute proprio di fronte alla facciata del duomo, per poi lanciarci in una ripida discesa attraverso veri e propri canyon di tufo, diretti alla stazione di Borghetto. L’alcol a stomaco semivuoto si fa sentire, sfrecciamo esultando tra un platano e l’altro, probabilmente perdo in discesa anche la lattina vuota. Arriviamo sulla Flaminia, e da qui a Borghetto ci sono ancora 4/5 km, quasi tutti in discesa con un paio di bei tornanti, mentre già sulla sinistra compare la rocca di Orte. All’entrata del paese, ormai in pianura, l’autovelox segna 22 km orari.

Attendiamo al bar della stazione l’arrivo del treno per Roma, ristorandoci con i dolci di nonna Francy, la madre del gestore del bar della stazione. Ovviamente non hanno i biglietti supplemento bici, quindi una volta saliti avvertiamo il controllore, vagamente simile a Nanni Moretti, che contro ogni previsione si mostra umano e non fa storie. Accanto a lui, buona parte del ritorno ce la monopolizza un dentone esaltato di mezz’età, appassionato ciclista, che continua a chiedere e dare informazioni tecniche sulle misure di ruote, su itinerari dolomitici e strategie di pedalata e di assetto. “Voi ragazzi, dovreste andare dove sono andato io in bici” “Dove?” “In Francia, in Spagna, in Trentino, in Sardegna, in Corsica, in Piemonte…” “Ah, quindi dovremmo andare ovunque! Va bene, andremo ovunque”.