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Perdika / Kanali

Partenza
Perdika
Arrivo
Kanali
Giorno di viaggio
10
File gpx
Chilometraggio
77.5 Km
Dislivello in ascesa
1530 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Paese
Fondo stradale
Diario
Le mie bici

Col caldo greco non si scherza, a pedalare sotto il sole rischiamo insolazioni, così ci accordiamo per partire presto – presto quanto? – sveglia alle 5.30. Smontaggio tende, bagagli, operazioni primarie di sopravvivenza e igiene, nel silenzio degli ulivi addormentati.
Sembra incredibile, ma a quest’ora esiste una Grecia quasi fresca.
Riusciamo tra una cosa e l’altra a scalare – a stomaco vuoto – la ripida rampa che ci riporta sulla strada costiera verso le 7.30. Abbiamo fatto del nostro meglio.
Le colline dell’entroterra ci offrono una parvenza di brezza mattutina, anche se insieme a questa non dimenticano certo di mettere le salite. I primi saliscendi ci portano al centro di Perdika, dove troviamo un forno aperto. La salita ha scavato un certo appetito, e i nostri sguardi lividi e minacciosi incontrano quelli dei ragazzi dietro al banco.
Un tripudio di rustici, dalla marmellata al cioccolato, dai broccoli alla feta, viene consumato a sangue freddo come un eccidio. Massimo si aggira inquieto per le vie ancora deserte alla ricerca di un caffè.
Poi va avanti, mentre noi quattro ci attardiamo a finire colazione. La strada si dipana senza uno scopo tra le scogliere, alternando premi e castighi come bastoni e carote: la discesa rinfresca dal sudore, la salita lo secerne. In ogni caso, siamo un contenitore di liquidi forato.
Giungiamo a Parga (Praga?), ridente località costiera tra gli scogli, sormontata dai resti di una fortezza in pietra viva. Qui il turismo è un po’ più diffuso, e un folto traffico di pullman e automobili alterna i sensi di marcia in maniera goffa. Il panorama pare un quadro dipinto, con le tinte pastello delle casette basse e le antiche mura che sembrano tuffarsi nel mare.
Dopo aver approfittato di una pompa dell’acqua in un giardino, innaffiandoci a vicenda, la temperatura del sangue scende: proseguiamo tra gli interminabili saliscendi masticando rametti di anice e finocchietto selvatico per rinfrescarci la bocca, disposti a una sosta soltanto per fare foto idiote a cavallo di ruspe e mezzi da lavoro abbandonati.
Raggiungiamo così Massimo all’altezza del bivio con la E51: alla nostra sinistra c’è Morphi col suo inquietante lago paludoso, a sinistra torniamo verso le penisole sul mare. Qui il traffico è più intenso, e la presenza di numerosi camion ci costringe a procedere incolonnati con maggiore cautela.
Poi, finalmente, la discesa: è totalizzante, e causa ebbrezza da spostamento d’aria bollente. Il vento e il rumore estenuato degli pneumatici quasi liquidi sull’asfalto ci rilassano al punto da avere svarioni. L’aria si fa pesante e massiccia, siamo alle porte di Mesopotamos, terra in mezzo al fiume che non sorge tra Tigri ed Eufrate come insegnano a scuola, bensì sulle sponde di un altro loro celebre collega: l’Acheronte.
L’atmosfera è immobile e mortifera, le sue acque cerulee e gelide hanno indotto gli antichi a collocare qui un altro degli ingressi dell’Oltretomba: come anche Dante ha sostenuto, infatti, l’Acheronte è uno dei fiumi infernali insieme allo Stige e al Flegetonte, e proprio a Mesopotamos si trova il Nekromanteion, l’ “oracolo dei morti”, che solevano predire il futuro ai vivi.
Ci aggiriamo tra le case mute e chiuse nell’afa del primo pomeriggio, in cerca di beni primari: una farmacia per i nostri sederi e un riparo fresco per il coprifuoco delle 13. A una pompa di benzina un signore ci dà indicazioni in francese per la farmacia:
Au carrefour tournez à gauche…
Agnese: – Ragazzi, ho capito bene? C’è un Carrefour da queste parti?
Io: – No Agnese, carrefour in francese significa incrocio.
Agnese: – Ooh.
Troviamo i due punti di ristoro l’uno accanto all’altro, la farmacista è una gentile signora che parla un ottimo italiano, mentre il luogo che ci offre riparo dal sole è destinato a entrare nelle tappe mitologiche del nostro viaggio.
Entriamo con una certa circospezione, in un primo momento ci sono l’oste, sua moglie e un paio di anziani avventori che si crogiolano nel caldo e nelle birre Amstel sotto un ampio porticato. Gli chiediamo se possiamo passare lì le ore calde, bere qualcosa e magari usare i loro tavolini per mangiare il cibo che abbiamo appresso.
I rustici comprati al forno di stamattina e lo tzatziki avanzato dalla cena di ieri e sopravvissuto miracolosamente ai trenta chilometri sotto il sole fanno il loro ingresso sui tavoli insieme alle birre, che cominciano a susseguirsi in quantità allarmante.
Il padrone del locale, o forse un avventore qualsiasi, ci prende in simpatia: Konstantin, questo il suo nome, ci offre altre birre, ci mostra le aragoste appena pescate ancora vive in una busta, ci invita a rimanere lì da lui per la sera, che ci sarebbe stata “grande festa”.
Mentre si alcolizza, manda sua moglie a prendere altro da bere. Lei sbuffa e obbedisce.
Il clima si scalda, Konstantin è ormai una conoscenza di vecchia data, ci racconta di aver vissuto in Calabria e di essere stato accusato di pluriomicidio, nonché di avere avuto una relazione con la sua avvocatessa, una bolognese, che somiglierebbe molto a Laura. Chissà se è vero, ma importa davvero saperlo?
Massimo si ritrova tra i vecchi da osteria a bere ancora birra.
– Regà, me devo tirà fori da sta situazione.
Io riesco a commentare solo:
– è tutto troppo.
Arrivano implacabili i caffè: sono greci, molto simili a quello turco, di certo niente di simile all’espresso nostrano. E gli avventori dell’osteria sfoggiano le abilità di chi è nato vicino al Nekromanteion, lanciandosi nella lettura del futuro nei fondi di caffè.
Agnese nel frattempo dorme su una sedia.
Caffè di Massimo: – Grande viaggio. Fino ad Atene, grande viaggio!
Caffè mio e di Fiorella: il fondo non si stacca, è coagulato nella tazzina. Konstantin allora con aria gioviale lo scioglie con la scolatura della birra, dicendo che per conoscere la verità abbiamo bisogno di bere.
Grande viaggio pure per noi, a me aggiunge che “mia ragazza venire ad Athens con plane“, lo vede nella tazzina.
Nell’ebbrezza della situazione ricevo il dono delle lingue, e cerco di intavolare una disperata conversazione usando il greco antico con un altro vecchietto. Lui mi dà ragione e sembra anche rispondermi in modo pertinente. Ho davvero detto cose sensate o finge così bene perché è ubriaco?
Konstantin poi decide di passare il telefono a Laura per farla parlare con un amico. Peccato che lei non parli neogreco, né lui italiano.
L’aggettivo surreale perde di valore.
Cerco di isolarmi un po’ col tablet per scrivere il diario, gli altri chiedono perché mi sia staccato dalla compagnia, gli spiegano che sto scrivendo un reportage, che ho interessi nella mitologia greca, ma la carenza di basi linguistiche comuni è tanta che per spiegare loro che cerchiamo miti greci tirano in ballo Socrate. Da lì gli entusiasti vegliardi prendono a chiamarmi Klaudios Sokratiko, dileggiandomi ormai ebbri.
Non pago di tutto ciò, Konstantin decide di salire sulla mia bici. Cade un paio di volte per il peso dei bagagli posteriori, rotolando a terra tra le risate. è rovinoso e titanico al tempo stesso. Non glielo impedisco, anzi lo incito abbassandogli il sellino.
Ma anche le favole più belle hanno un epilogo, così ci congediamo dalla taverna dei buontemponi, promettendo ritorni.
All’uscita di Mesopotamos, Fiorella viene inseguita da un cane, io mi giro per guardarla e vengo quasi tamponato da Massimo dietro di me. Se ci fermassero, sarebbe ritiro patente per tutti.
Attraversiamo quindi (quasi) incolumi l’Acheronte, e ci lanciamo in nuove salite per la superstrada. Il paesaggio si verticalizza di nuovo, lasciandoci a destra il blu immenso del mare.
Massimo si porta avanti dopo un primo valico, noi ci fermiamo a fare qualche foto alle incredibili scogliere. Una pausa da una simpatica fruttivendola, un melone bianco caricato sul portapacchi che fa da testa al casco legato dietro, ed è discesa.
Alle pareti di cemento, rimasugli di referendum, “oxi”, “syriza” e “kruse auge”.
È quasi il tramonto quando giungiamo a Kanali, località balneare dall’ampia spiaggia che pare fatta apposta per accogliere il rosso del sole suicida in mare. Campeggi ce ne sono, ma non belli come quello di ieri. Più turistico, più famigliole, più confini tra una piazzola e l’altra, l’autostrada accanto come paesaggio romantico.
Mentre piantiamo le tende, veniamo avvicinati da un gruppetto di bambini cicciottelli e disomogenei. Paiono i Goonies.
“Hi”, ci dicono.
“Hi”, rispondiamo col sorriso.
“Hi, Hi, Hi”. L’inglese appreso a scuola funziona! Compiaciuti di quella loro chiave universale in grado di abbattere le barriere culturali, si aggrappano a quel loro primo successo comunicativo. La conversazione crolla però al primo “Where do you come from?”
I bambini si girano, dandoci le spalle imbarazzati.
Con gesti e giri di parole (Noi, Italy, voi??) riusciamo a capire che sono greci. Dopo averci scrutato curiosi come fossimo alieni, e aver tormentato gli adesivi della mia bici, tornano ai loro fucili ad acqua con risa sataniche.
Il sole è appena tramontato, quando il mare grigiastro ci accoglie per un tuffo serale. Ha una consistenza cremosa, vellutata. Riusciamo a lasciare la spiaggia soltanto quando è buio.
Il tempo di una doccia, e sfidiamo i 2 km di statale nel buio per raggiungere di nuovo Kanali e prendere sotto assalto una Taberna tipica, dove una gentile signora ci rimpinza di souvlaki e ci dà il colpo di grazia con l’ouzo. Nonostante sia mezzanotte passata, il locale continua a riempirsi di avventori. Gli orari greci sono ancora più rilassati dei nostri.
Ma è ora di riposare, domani ci attendono più di cento chilometri e bisogna considerare anche un quarto d’ora per ammirare le stelle in spiaggia.

LA CITTÀ DI AMBRACIA E CRAGALEO

Come è noto, i greci sono soliti attribuire ai loro dèi vizi umani, e dipingere i loro eroi come perfetti e incorruttibili: accade così che ci si ritrovi in una mitologia piena di esseri sovrumani capricciosi e rosiconi che fanno pagare lo scotto delle loro fissazioni a umani spesso miti e virtuosi, quasi a testimonianza del fatto che l’uomo creò dio a propria immagine e somiglianza, cercando piuttosto di innalzare a modello di comportamento (poche) incorruttibili figure umane.
E così, gli abitanti dell’Olimpo, non paghi delle gioie ultraterrene, dei banchetti a base di nettare e ambrosia e dei propri possedimenti celesti, cercavano di affermare il proprio dominio e il proprio culto sulle varie poleis greche, anche perché una divinità non ha molto senso se non ha fedeli. Il loro modo di dire “Adoratemi” era più o meno questo, e trovarsi in mezzo alle loro campagne di abbonamenti era spesso un impiccio tanto pericoloso quanto inevitabile.
La città di Ambracia, per esempio, si ritrovò contesa tra tre divinità di tutto rispetto: Artemide, Apollo ed Eracle. I tre già si stavano azzuffando per il suo possesso, quando intervenne Zeus a sedare il litigio. E come già era avvenuto per Paride, si scelse di dirimere la questione affidandosi al giudizio di un umano. Un malcapitato che come sceglie sceglie male, insomma, uno che in un modo o nell’altro offende qualcuno. Un bel privilegio, davvero.
Solo che almeno nel caso di Paride, anche se la sua preferenza per Afrodite causò la guerra di Troia e generò anni e anni di lutti e sangue, ci fu una ricompensa mica da buttar via: la dea infatti gli concesse l’amore della donna più bella del mondo antico, Elena, che il figlio di Priamo sottrasse – col pieno consenso di lei, beninteso – al re Menelao.
Invece in questo caso, il giudice designato per stabilire il possesso di Ambracia, il pastore Cragaleo, non ebbe nemmeno una controparte positiva per essere stato costretto a offendere due dèi per sceglierne uno. Il vecchio, che era noto per la sua mitezza e per la sua saggezza, se ne stava a pascolare i buoi quando fu interpellato dai tre esagitati.
Cragaleo, messo in mezzo, scelse Eracle.
Quest’ultimo, tutto contento, si prende Ambracia, arrivederci e grazie.
Apollo invece non era uno sportivo – da uno che ha scuoiato vivo il satiro Marsia dopo averlo battuto con l’inganno in una gara di canto, non è che ti aspetti troppa comprensione – e alla sentenza del malcapitato gli presero i cinque minuti: preso per mano Cragaleo, infatti, lo trasformò immediatamente in uno scoglio.
Il contentino per lui?
Gli abitanti di Ambracia fanno sacrifici a Cragaleo in onore delle feste per Eracle. Sai che gioia, quando sei di pietra.

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