Ci siamo di nuovo.
Agosto e l’estate, muta e implacabile come una Sfinge.
L’estate ha un suono assordante e inaudibile, e l’unica è scappare, partire, cercare invano di mettere chilometri tra te e lei.
E mentre dal canto suo Agosto è al suo apice, ancora una volta Stazione Trastevere mi aspetta per portarmi da qualche parte, stavolta a Fiumicino.
L’aria è giallastra, i corridoi dell’aeroporto affollati, desolati nella loro allegria frenetica, io sto facendo tutto troppo in fretta. Ogni viaggio che si rispetti deve portare con sé il giusto carico di sacralità e grottesco, opportunamente miscelati.
La partenza da Fiumicino e il check in della bici avvengono praticamente senza intoppi. La luce dorata del pomeriggio incornicia l’intera sagoma dell’isola di Corsica dal finestrino.
Allora le cartine geografiche dicono il vero.
Dopo aver visto le sue venature immerse nel verde, arriva il momento dell’atterraggio in suolo francese. E con esso, uno dei due momenti più temuti di tutto il viaggio: il ritiro della bici al nastro scorrevole.
L’altro, il valico a 2.400 metri, è ben poca cosa al confronto.
Stavolta la mia fedele cavalcatura mi viene servita tipo piatto forte sdraiata sul tapis roulant, insieme ai bagagli degli altri passeggeri, e così le borse da viaggio, sparse tra i trolley.
Panico tra i presenti.
Oggetto metallico non identificato.
L’oggetto in questione blocca la regolarità del moto del nastro mettendosi di traverso, prima che possa avvicinarmi e asportarlo tra le maledizioni dei passeggeri.
Ok, il grosso è fatto, da qui è tutto in discesa.
Il grosso sarà pure fatto, ma non ho minimamente pensato a controllare la strada per casa di Francesco. E il telefono è scarico. Poco male, mi dico, vagherò finché non incontrerò qualcuno cui chiedere.
Un paio di chilometri e mi trovo davanti a uno svincolo per l’autostrada che conduce fuori e dentro Nantes.
Le città hanno sempre corsie preferenziali per chi vuole entrare e uscire da esse con rapidità.
Mi tornano in mente le parole di Marc Augé nel suo libro “Il bello della bicicletta”:
“L’urbanistica è guidata dalla necessità di rendere facilmente accessibili gli aeroporti, le stazioni, le grandi arterie stradali. La semplicità di entrata e uscita è il primo imperativo, come se l’equilibrio della città si mantenesse grazie a contrappesi esterni. […] A questo punto la bicicletta forse acquista un ruolo determinante per aiutare gli uomini a riprendere coscienza di loro stessi e dei luoghi in cui vivono, invertendo, per quanto li riguarda, il movimento che proietta le città fuori da loro stesse. Abbiamo bisogno della bicicletta, per ritrovare in noi stessi, proprio mentre ritroviamo un centro nei luoghi in cui viviamo.”
Costeggio la grande arteria in questione per stradine di sobborghi, trovo una ciclabile, il sole comincia a coricarsi. La percorro.
Un ponte, case sparse, prati, qualche chilometro così. Nomi di sobborghi sconosciuti. Incontro un ciclista che percorre la pista in senso inverso al mio, lo fermo per chiedergli indicazioni:
“Excusez-moi, pour aller à Nantes centre?”
“Mais c’est par là! Suivez moi!”
Manco a dirlo, mi stavo allontanando da Nantes.
Seguo il suo passo rapido da chi è abituato a sfrecciare su bici da corsa senza carico. Qualche chiacchiera con la mia guida improvvisata, giovane dottorando in filosofia. Pare che la filosofia dia anche da mangiare.
Arrivo davanti casa di Francesco ed Estelle, il cellulare è scarico. Faccio cambio di scheda SIM con quello di riserva, nel frattempo scende la sera. Rintraccio&raggiungo il Sordido mio ospite a un tavolino, passando per i vicoli affollati di bistrot, dove mi attendono chiacchiere in francese stentato, stanchezza e il mio primo incontro con la Panaché.
La Panaché?
Ma sì, metà birra chiara e metà limonata. Un alcolico paraculo, che non si assume le proprie responsabilità, ma che disseta un sacco, specie quando si pedala un sacco d’estate. E che costa molto meno di una birra media in Italia, caratteristica che ne farà la mia bibita preferita per i giorni successivi. A casa di Francesco ed Estelle, mi attende la mezzanotte, i miei trentuno anni e una candelina conficcata in un piatto di fagioli. Certe gioie sono capaci di annullare persino il fardello del Tempo che Passa.
Subentra il sonno, e con esso l’oblio.