Santa Maria di Leuca – Otranto
Tappa al sapor d’oriente, sospesa tra il biancore degli edifici bassi e l’azzurro pigro dell’Adriatico. Le strade più belle e appaganti le incontriamo oggi, con pareti a picco sul mare, scogli e rade, quando la strada non decide di prendersi una pausa per sorprenderci con saliscendi tra ulivi e grano. Iniziamo la giornata all’ombra della mole lucente del faro di Santa Maria di Leuca, lefkà, la bianca, riferimento e finisterrae dei marinai d’oriente e occidente, là dove i mari si incontrano; la Compagnia del Banano grugnisce poi in direzione del Ciolo, per poi fermarsi a Castro per un po’ di tuffi. Dodicenni nativi ci surclassano nella disciplina per altezza e stile, ma proseguiamo sgraziati a smuovere i flutti. Passiamo così Marina Serra e Tricarico, dove si apre il tratto più spettacolare. Il vento teso ci accompagna rendendo il caldo più sopportabile. La gente qui ha un accentho pieno di aspirazioni e incespichi consonantici, e i modi gentili e fatalisti. La seconda tappa di mare è porto badisco, che nonostante l’evidente bellezza non raggiunge i livelli del primo stop. La ressa del pomeriggio rende l’acqua meno cristallina. Stronzi galleggiano tra i canotti mentre nuoto beato. Un chiosco sugli scogli ci rapisce con i suoi spritz, e quando il cameriere, osservandoci compassionevole divorare i nostri pistacchi rimasti ci dice dell’happy hour, ogni velleità ciclistica residua si dissolve. Pedaliamo nel crepuscolo fino a otranto, in distese solitarie e brune. La città ci accoglie male, con un divieto biciclette sprezzantemente ricordato da un cameriere, e fatichiamo a districarci nella folla tra i vicoli aragonesi. Nonostante la sua bellezza sospesa in un biancore irreale, Otranto è molto turistica e meno godibile di Leuca o Gallipoli. Breve sosta e affrontiamo gli ultimi km di buio fino all’area camper dove ci attende Laura, ormai da molte ore, e un cielo stellato in spiaggia.