Serra di Scopamene / Zonza
V TAPPA – SERRA DI SCOPAMENE – ZONZA
Avendo letto sulla Routard del fascino di Zonza, decidiamo di fare una tappa breve per fermarci lì una notte; su questi 10km di strada niente di particolare da dire, usciti dal campeggio dei Scopamene si percorre un tratto panoramico in leggera discesa, col paese vecchio e una bella chiesa affacciata sulla vallata e la Bavella che si staglia imponente sullo sfondo. Scesi in fondo, si deve risalire un po’, si passa un bel rettilineo alberato contornato da buoi al pascolo, con una bellissima fortezza in rovina sulla nostra destra. Interessati, ci fermiamo e apriamo l’ormai solo simbolico cancello. Il prato che ci separa dall’edificio, un vecchio edificio quadrato di tre piani che sonnecchia insieme al resto del paesaggio, è popolato da mucche e qualche toro, perciò procediamo con cautela fino alla vecchia scala che porta all’entrata principale, serrata da non molto tempo. Aggirando il palazzo, troviamo una porta aperta sul retro e io, Gianluca e Francesco decidiamo di entrare: superato il buio di un corridoio, ci troviamo in ampi saloni un tempo lussuosi, con camini in pietra alti e polverosi. Saliamo la prima rampa di scale, ma non ci addentriamo oltre, perché qui il pavimento sembra davvero pericolante.
Passato questo piacevole diversivo, la strada per Zonza è abbastanza breve e giungiamo ben prima dell’ora di pranzo alla piazza principale, dove mangiamo nella maniera che si addice ad un buon troll. Il paese è un crocevia con quattro diramature, due della strada che seguiamo, le altre due in diagonale verso il mare e verso l’interno e poi Ajaccio; la strada principale brulica di negozietti tipici e di ristoranti. Giunti al campeggio municipale, 3 o 4 km dopo Zonza, che è immerso in una splendida e fresca pineta, siamo accolti da un violento e lungo acquazzone, il primo (e fortunatamente, l’unico) dal nostro soggiorno in Corsica: io e Gianluca dormiamo in tenda un paio d’ore, mentre Francesco e Federico si riparano in una rimessa insieme alle bici. Nel tardo
pomeriggio ce ne andiamo un po’ a Zonza, compriamo un po’ di prelibatezze, tra cui gli ormai
immancabili fagioli, economico e nutriente alimento base della nostra dieta insieme alle baguette),
liquori del posto e birra Pietra.
Contattiamo via cellulare Giulia, che ci annuncia la cancellazione di Zonza dal suo itinerario causa
ritardo nella tabella di marcia.
La cena rigurgita e trabocca spavalda dei tronfi fagioli, e, colto da estatica ispirazione, Francesco eccede: “damme n’altro facioletto, uno soltanto ancora, guarda che sprecone, hai lasciato 6 fagioli nella scatoletta…”
Nella nottata si sentirà male e vomiterà: “Ahio, la panza, che male, non dovevo magnà tutti quei
facioli, ahio…”, versando amare lacrime da coccodrillo.
Io sono colto da stanchezza e sonno indicibile, per cui dopo cena mi corico nel sacco a pelo steso sulla tenda (non montata) di Federico, messa lì per l’umidità del terreno, e qualche secondo dopo sto russando sonoramente. Vengo svegliato dopo la mezzanotte da Gianluca e Federico, che, dopo aver simulato un grossolano attacco di volpe, mi avvertono che stanno andando nella vicina zona dei menhir in bici. Io, indifferente ai loro progetti, nel dormiveglia comincio a prepararmi mentalmente frasi da dire alla gerdarmerie per riconoscere i loro corpi l’indomani, dare generalità e cose del genere. Mi riaddormento di sasso, Francesco mi racconterà poi che durante la notte una pigna cadendo mi ha sfiorato la testa di mezzo metro, allorché ho emesso un suono sordo e gutturale di stupore, e che qualche secondo dopo russavo di nuovo. In seguito Federico rientrando dovrebbe essermi montato addosso sul sacco a pelo, urlando qualcosa del tipo “baccellone mio”, e io dovrei aver biascicato qualcosa, ma non ricordo niente di tutto questo.
La mattina seguente i due racconteranno di una surreale corsa in bici nel buio più pesto con la sola luce delle dinamo e rumori di animali di ogni tipo nel bosco circostante.