Syri I Kaltër – Igoumenitsa
La mattina seguente mi coglie più determinato e autolesionista, e tento l’immersione totale nel Blue Eye: superato il punto di non ritorno, quello dell’acqua sotto l’ombelico (per così dire), il resto è facile. L’acqua è così gelida che fa male. La colazione consiste in un caffè annacquato e in una camomilla che viene spacciata a più riprese per tè a Valentina.
Ci avviamo quindi sulla strada del ritorno verso Sarandë, sotto il sole del mezzogiorno, con quel tempismo e disciplina noto solo a certi monaci tibetani. Dopo aver superato il polveroso tratto sterrato, oggi trafficato al limite del pedalabile, ripercorriamo il fluire del fiume in leggera discesa. Il saliscendi obbligato per Sarandë è costellato di tamarri e autocarri ripieni di calcinacci: due quasi sfiorano il tamponamento, ridendone con gli amici al benzinaio vicino; altri due non riescono a evitarsi, ma constatata l’assenza di danni notevoli risalgono nelle rispettive auto con indolenza fatalista.
I bus da qui arrivano soltanto al confine greco, ma la parte più difficile è riconoscerli: vecchi furgoni, minivan, pulmini sgangherati si affollano a questo o a quell’incrocio. Riceviamo informazioni sempre diverse, fino a quando un albanese che parla italiano ci indica il mezzo giusto: il conducente è disponibile e gentile, comunica a gesti piuttosto che esprimersi nella sua lingua, e ci sistema le bici nel vano posteriore.
A ogni fermata il bus, già stretto di suo, si riempie oltre le sue capacità di persone e di sudore. Nessuno protesta, nessuno sgomita: il senso di adattamento si vede meglio in condizioni precarie.
Il bus ci scarica a pochi metri dalla dogana per poi tornare indietro; capre indolenti si allungano dietro un chiosco per cogliere le foglie più alte. Svogliati controlli di rito, e subito dopo la discesa ci avvolge di calore e orizzonti blu. Incredibile come già a pochi km in terra greca il paesaggio cambi, nella cura e nell’amore nel coltivarlo.
Percorriamo gli ultimi 20 km tra campi di limoni verdi e cani troppo pigri per correrci dietro. La notte la passiamo al camping Drepanos, una lingua di terra coperta di eucalipti all’imbocco della baia di Igoumenitsa.
Il mare è calmo che pare un lago, i contorni di Corfù annegano nel rosso. Piantiamo le tende appena fuori dal campeggio, proprio in una macchia sulla spiaggia. In tempo per un bagno notturno, per squattare un’amaca e per essere risvegliati dalla sirena dei traghetti.