Al giorno d’oggi sottovalutiamo enormemente il potere riflettente della superficie lunare, ma questo lo scoprirò solo alla fine di questo terzo giorno di viaggio.
Ho preso il caffè verso le 6.45 col titolare dell’agriturismo, che mi ha raccontato come stanno vivendo i cambiamenti climatici qui ad Ariano. In inverno, la neve è diventata molto rara, ed era molto importante per il riposo delle piante. In compenso le gelate primaverili sono diventate molto frequenti. Non che in passato non ce ne fossero. Si racconta in particolare di una molto forte avvenuta parecchi anni fa in maggio, quando il grano ha già formato la botticella, e quasi tutto il raccolto è stato spazzato via in una notte.
Ma erano eventi molto rari.
Adesso – tutti gli anni – arriva una gelata il 25 aprile, è diventato quasi un appuntamento fisso e stanno cercando di capire come affrontare questa situazione. Sarei rimasto a parlare tutto il giorno ma non avevo ancora idea di quanti chilometri avrei dovuto pedalare e miei pensieri erano tutti sulla strada da fare.
La discesa da Ariano verso la Puglia col fresco del mattino è stata una goduria assoluta. Si respira un’aria pulita e sottile: me ne accorgo quando vengo superato da quelle due o tre automobili che incontro lungo i 20 km di discesa, e continuo a sentire il puzzo del motore per centinaia di metri. E pensare che in questa zozzeria ci vivo dentro.
Ad un certo punto, senza che ci siano cartelli a indicarlo, entro in Puglia. Me ne accorgo perché cambia qualcosa nella disposizione degli ulivi. Mi sembra che siano disposti in modo più regolare e con una potatura diversa. E in ogni caso, la discesa finisce e quello è un segno inequivocabile che l’infinita Puglia ha avuto inizio.
Fatico un po’ a dare un senso alle indicazioni stradali, che ovviamente non sono fatte per chi viaggia in bicicletta, e a capire le strade, che su questa tavola piatta sono ammagliate in losanghe di forma per lo più triangolare. In un caso mi ritrovo su una “strada provinciale” a quattro corsie e devo tornare indietro. Un paio di volte mi rendo conto di aver percorso due lati di un triangolo invece di tagliare per il terzo lato. Perché le indicazioni stradali per andare da A a B in auto ti mandano per il percorso più lungo?
Dopo Cerignola comincio a dare un senso alle strade e gli ultimi 60km da Canosa fino a Palombaio, dove mi fermerò per la notte, sono solo ulivi. All’inizio pensi uh bello, gli ulivi! Dopo 10 km inizi a pensare ah però quanti ulivi! Al km 30 inizi ad avvertire un certo disagio, e ancora non lo sai ma ti mancano ancora 30km. Al km 40 inizia ad avere delle visioni mistiche.
Sto certamente pedalando, e me lo ricorda anche quella voce proveniente dal ginocchio, che nel pomeriggio ha ricominciato a farsi sentire anche se credo che non stia dicendo “Sei un coglione!”. Mi sta suggerendo di cambiare postura e cerco di fare il possibile per accontentarla.
Ma il fatto, dicevo, è che dopo 40km la strada fra gli ulivi sembra ferma. Pedali per ore e non accade assolutamente niente. Se hai la fortuna di un cielo velato che ti protegge dal caldo, questo ti priva però del senso del tempo che la bici in movimento proietta a terra come una meridiana.
Tutto è immobile.
Per recuperare il senso del tempo inizio a contare i respiri. Per avere un minimo di percezione dello spazio inizio a misurare la distanza fra gli ulivi, e vederli scorrere mi restituisce la sicurezza che effettivamente mi sto muovendo. Sto andando avanti. Il fondo arriva certamente quando inizio a parlare con gli ulivi. Alcune sono eleganti ballerine, alcuni sono vecchi imbronciati, alcuni sono animali fantastici con corna e proboscidi, ma la gran parte non sono niente: sono solo maledetti ulivi muti.
Qui la biodiversità è morta, ed è facile capire il disastro della xilella di qualche anno fa, che sicuramente incontrerò più avanti. Una monocultura è un sistema molto fragile.
Ma veniamo alla luce della luna.
Palombaio è un posto vuoto, e in più mi servono contanti per pagare l’anziana signora che mi ospita, che ha qualche pudore a rivelarmi il suo IBAN, lo capisco, signora, non si preoccupi, troveremo una soluzione.
Bitonto si trova a 10km da Palombaio e ormai ho capito come funzionano le strade di campagna da queste parti, è molto semplice: ulivi. Perciò alle 21.00 decido di riprendere la bicicletta e andare a visitare Bitonto, una cittadina allegra, piena di gente e di stradine di pietra, solo leggermente gentrificata. Dopo una giornata fra gli ulivi, mi fa bene vedere un po’ di persone, scambiare due parole anche solo col cameriere mentre mangio la pizza.
Dice: ma sei matto? Ti sei già fatto 140km e ce ne metti sopra altri 20 di notte in mezzo agli ulivi. Ecco, volevo dire, la follia è un’altra.
Mentre pedalo al buio verso Bitonto, improvvisamente faccio un gesto inaspettato, quasi involontario: mi allungo in avanti e spengo il potente faretto con cui mi faccio strada.
Improvvisamente tutto si illumina.
È un gioco si specchi fra il sole, la luna e le foglie argentate degli ulivi, che di notte, inspiegabilmente, corrono via velocissimi tanto quanto di giorno parevano una cortina immobile. Dura un attimo. Venti chilometri volano via come niente e vorrei fare un secondo giro sotto la luna se non sapessi di avere ancora due giornate da pedalare.
Sarà per la prossima volta.