Villetta Barrea / Lanciano
Alba sulla Camosciara, una famiglia di daini si abbevera sul lago. Smontata la tenda ci dirigiamo verso Barrea, costeggiando la riva nord del lago fino alla diga del Sangro, per poi inerpicarsi per la salita che porta al piccolo borgo (si parla sempre di anime, non certo di abitanti); un’antica fonte ci rinfresca la colazione; sorpassiamo un gruppo di scout appesantiti dagli zaini e usciamo dal paese. Salita, tornanti e curve ci precludono la vista del lago alle nostre spalle, il cui colore cambia con l’umore del cielo. Saliamo fino al passo, a 1200 metri circa, per poi lanciarci nella discesa verso Alfedena, che attraversiamo quasi senza fermarci. Chieste indicazioni a un camionista, proseguiamo sulla SS84 Frentana, che ci accompagnerà tutto il giorno, fino all’arrivo a Lanciano. Siamo ora a un passo dal Molise, e ovunque troneggia l’indicazione per Napoli: anche la parlata locale cambia molto rispetto alla valle precedente; i monti segnano molte distanze, linguistiche, paesaggistiche e culturali, e ogni chilometro vale di più che in pianura.
Passiamo per un drittolineo alberato tra i campi di grano punteggiati da covoni di fieno, fino all’ingresso in Castel Di Sangro, vivace paese illuminato dal sole della tarda mattinata. Sciami di nonne e ragazzini ci osservano, forse perché pedaliamo seminudi in pieno centro. Un vigile ci sconsiglia di prendere la SS17, a causa dai numerosi camion e del tunnel, e ci raccomanda invece la vecchia strada per Roccaraso, che fa lo stesso tragitto ma è molto meno trafficata. Ennesima antica fonte ed ennesima vecchia grinzosa a cui dire “buongiorno, bella signora!”, nonostante gli anni le abbiano fatto rientrare il viso dentro le orbite e gli zigomi.
Comincia poi il tratto più sofferto dell’intero viaggio: i 5 km di salita durissima prima di Roccaraso, resi ancor più ostici dal sole battente di mezzogiorno. Da qui solo pendenza, litri di sudore, quadratini di pagine di un vecchi TV sorrisi & canzoni gettati a bordo strada, e oasi d’ombra dove sostare ogni pochi metri. Quando ci immettiamo finalmente nella SS17 e ci fermiamo a un chiosco ambulante, l’incubo finisce. L’impassibile signore dall’espressione monocorde ci rifornisce di due scamorze, che andranno ad arricchire il nostro sontuoso pasto a Roccaraso, consumato all’ombra di un’aiuola di un residence di lusso, facciata in legno e fiori ai balconi, manco fossimo in Tirolo. Il proprietario ci vede ed esce, ma con tranquillità si raccomanda solamente di non lasciare rifiuti sul prato. Verso le 15 ci rimettiamo in marcia, dopo aver chiesto indicazioni a una coppia di laidi omosessuali cinquantenni, meches e occhiali da sole, che ci salutano con sorrisi smaglianti.
Poche centinaia di metri di SS17 tra i camion, e riprendiamo la Frentana. Qui il paesaggio cambia ancora, adesso ci ritroviamo a dividere in due un brullo altopiano dal quale i paesini di Pescocostanzo e Rivisondoli sembrano voler uscire arrampicandosi ai margini, forse per la vergogna dei tremendi complessi turistici costruiti lì vicino. Un’altra breve salita e accediamo a un ulteriore altopiano isolato, balle di fieno, distese aperte a perdita d’occhio e vento fortissimo. A completare il paesaggio western, in cui il rumore del silenzio sovrasta quello delle nostre ruote sull’asfalto e delle raffiche improvvise, ci pensa una ferrovia abbandonata, che segue il nostro percorso sotto spettrali tralicci fatiscenti. Su quella che un tempo deve essere stata una stazione o una cabina di passaggio a livello, l’unica cosa recente è un manifesto di un tour degli Stadio. Dopo 7/8 chilometri di questa pianura surreale, appena 50 metri di salita ci conducono al valico della Forchetta (1370 m), la salita per un valico più ridicola della storia, almeno per chi viene nel nostro senso. Superata questa forca naturale, lo scenario cambia radicalmente, e la Frentana fatta di polverose case cantoniere si veste improvvisamente dei colori della Maiella: il verde violento dei boschi, lo scuro delle pareti scoscese, e il massiccio del monte, tinto dal sole pomeridiano di un colore tra il rosa, il grigio e il giallo sabbia. Con la Maiella comincia anche la lunga e ripida discesa, e superato il bivio per Gamberale ci inoltriamo in folti boschi dominati dal massiccio roccioso, i cui bellissimi costoni scendono a picco per la valle. Il sole distribuisce luce in modo soffuso e non uniforme, mentre i freni delle nostre bici si fanno roventi per l’attrito continuo. Mentre continuiamo a perdere quota, non invidiamo per niente i ciclisti che incontriamo nel senso opposto.
Ci fermiamo alle sorgenti del fiume Aventino a bagnarci le zampe nell’acqua gelida, e beviamo un sorso dell’acqua che sgorga direttamente dalle rocce. Da qui in poi inizia uno dei tratti più panoramici del viaggio, 10 chilometri di strada a picco sulla valle scavata dall’Aventino, a sinistra parete rocciosa con reti antifrana, a destra il baratro profondissimo, da cui ci separa soltanto un muretto in pietra di 30 centimetri. Come pedalare nel vuoto.
La discesa ora è quasi impercettibile, quel minimo che aiuta a godersi il panorama senza impedire la pedalata. Passato l’imbocco del sentiero per le Grotte del Cavallone, arriviamo nella cittadina di Palena, dove stormi di vecchine ci salutano con la mano. Pochi metri più avanti, ci soffermiamo ad ammirare una ben più giovine fanciulla, che si meriterà il titolo di miss Palena, e probabilmente anche miss Viaggio: in seguito si canterà in suo onore Cuccuruccuccù Palena. Si scende ancora seguendo dall’alto il corso del fiume, fino ad arrivare a Lano di Peligno, dove chiediamo ai proprietari di un negozio di biciclette quale sia la strada più breve per Lanciano. Scegliamo di non tentare la sorte, bensì di andare a Casoli, imboccando una discesa ancora più violenta. Fagiani si scostano al nostro passaggio, mentre il caldo si fa sempre più tangibile ad ogni tornante, una nebbiolina di afa si spande assieme ai raggi del sole che filtrano attraverso il massiccio della Maiella.
Attraversiamo frazioni desolate governate da cani più o meno randagi. Lungo la strada ora pianeggiante incontriamo un cane, forse smarrito, e ci fermiamo a coccolarlo un po’, ma subito si allontana snobbandoci. La sosta ci dà però occasione di scoprire una spiaggetta seminascosta sul lago di Casoli: fa troppo caldo per pensarci su, quindi ci buttiamo a fare un tuffo in mutande, per poi rimontare in sella ancora bagnati. Mentre passiamo un cartello che avverte di fare attenzione alla strada “sdruciolevole”, mi accorgo che la sagoma delle mutande disegna improbabili figure bagnate sui calzoncini. Dopo la galleria e la diga sul lago, ci attendono 2 km di salita abbastanza dura per Casoli, che superiamo agevolmente avendo ormai ripreso il ritmo dopo il tuffo.
Casoli è un grazioso borgo arroccato intorno al proprio castello; bar e tavolini di metallo all’aperto, vecchi che giocano a carte. Lo attraversiamo velocemente, e subito ci lanciamo nel chilometro lanciano. Sfrecciamo attraverso rigogliose coltivazioni di tutti i tipi, pannocchie che spuntano dai loro involucri quasi per invitarti a coglierle, vigne fitte che non ci si cammina dentro, mele, uva e pere in quantità, al punto da ipotizzare una sosta duratura: “Ahò, qua la natura ce sfama!”. Più avanti, quasi investiamo degli stupidi tacchini. Non li avevo mai visti, ma ora so che non mi perdevo molto.
Ci fermiamo in un bar dove lavora una grassona dai capelli rossi e dall’aspetto materno, a bere e mangiare qualcosa. Già comincia a imbrunire, e anche oggi abbiamo fatto male i calcoli con le distanze e i tempi: mancano ancora 21 km a Lanciano. Il cielo disegna figure dalle prospettive ampie, giocando a mescolare nella sua tavolozza il viola e il rosa: una nuvola assume in maniera inequivocabile le sembianze di un pesce che salta fuori dall’acqua a mangiare un’altra nuvola. Con la Maiella sullo sfondo e un tramonto che ci regala un insperato fresco, facciamo un’altra salita tra campi e vigne, scendiamo di nuovo e nel buio ormai completo saliamo ancora per Castel Frentano, paese dei bocconotti. Verremo a sapere in seguito che si tratta di un dolce ripieno di cioccolato. Fortunatamente la strada è fornita di lampioni che danno una cadenza piacevole a quest’ultimo spargimento di sudore. In paese ci rinfranca l’informazione di un barista che ci riempie le bottiglie ormai vuote d’acqua: per Lanciano c’è solo discesa, siamo praticamente arrivati.
L’ultimo ostacolo alla fine della tappa è un cavalcavia non illuminato che percorriamo spalmandoci sul guardrail… il cartello bianco con la scritta “Lanciano” segna la fine del viaggio, e l’incontro con Stefania, amica di Federico. Prima di condurci a casa in centro, ci chiede di attenderla 10 minuti mentre svolge una commissione; mentre la aspettiamo, sul marciapiede ci passa a fianco una coppietta: dal momento in cui le graziose infradito di lei si poggiano su un escremento di cane nascosto dall’oscurità, bastano due o tre secondi perché la ragazza abbia una crisi isterica, scoppiando in lacrime. Lui è impassibile, cerca di calmarla. Federico non riesce a trattenere le risate. Io sono in grande difficoltà, perché siamo a due metri da loro. Lui mi fa: “Scrivi, scrivi, questo è tutto materiale bbono per il diario!”. I due si allontanano nella direzione da cui venivano imprecando “maledetti incivili”. Noi o i padroni dei cani?
Giunti a casa di Stefania, ci accolgono il padre con la compagna. La cena è sontuosa e a doppio fondo, anzi a triplo. Puttanesca, formaggi locali, salumi svariati, vino a fiumi, cascate di genziana, torrenti di ratafia. E poi chitarra e canzoni a richiesta.
Andare a dormire ubriachi alle 4 di mattina è sempre un buon primo passo per chi vuole prendere il regionale di ritorno da Pescara il mattino successivo, alle 9.20. In fondo si tratta solo di farsi 37 chilometri in bici dormendo un’ora e mezza.
28/8/2010
LANCIANO / ROMA [corriera]
Alle 13.10 parte una corriera per Roma, da Lanciano. Il conducente è simpatico e mi fa imbarcare la bici nel bagagliaio inferiore. Il regionale da Pescara lo prenderò un’altra volta.