Er due de ggiugno
31 Maggio 2014
Io le divise non le ho mai sopportate.
Manco il rigorismo di forze armate che da decenni devono difendere ben poco più della propria estetica fatta di onore, orgoglio, diopatriabandiera. Perché gliel’hanno detto, punto e basta.
Per questi e altri motivi, tra i quali figurano strane devianze personali come l’antimilitarismo, sebbene riconosca l’importanza di una Festa Nazionale come il Due di Giugno, fatico a comprendere questa pagliacciata della parata militare, uno spreco di risorse, benzina, lavoro, permessi di occupazione suolo pubblico e dispiegamento di mezzi bellici che – detto fra noi – fanno pure ride, Malta o Andorra ci invaderebbero in scioltezza. L’unico aspetto positivo è il poter pedalare tra le tribune dei Fori Imperiali nei giorni precedenti e immaginare di vincere un Giro d’Italia senza pubblico. Dà comunque soddisfazione, fidateve.
Poi se lamentamo der traffico, dei costi della politica, dell’euro, e contemporaneamente facciamo passare dei carriarmati e bombardieri tra le rovine romane. Vabbè, fate un po’ la pace vostra.
Ordunque, stasera tornavo dalla prima parte della Ciemmona, la Critical Mass nazionale. Dopo risse coi tassisti, gente che prova a capire il perché, gente che ti dà del fannullone perché giri in bicicletta e non riesce ad associare i pedali al concetto di lavoro, gente che sbraita e gente che empatizza (forse suo malgrado), dopo corse su una tangenziale poco illuminata e dopo qualche bicchiere di troppo (fermateme, su), decido di fare ritorno a casa dalla SNIA.
Via Claudia è bella come non mai nella tiepida notte di fine maggio, i copertoni sottili della Benotto da corsa stridono sull’asfalto ed evitano le buche con particolare grazia. Le buche delle travi di rinforzo del Colosseo sono sempre lì, ma Roma è bellissima e l’aria dolce.
Proprio davanti al Colosseo trovo delle transenne, e una pattuglia della Municipale che sembra essere stata messa lì con un certo sadismo. Mi pare brutto lacerare i nastri gialli al loro cospetto, così mi fermo, rovino la media oraria e chiedo loro:
“Scusi, che si può passare?
“Mi spiace, abbiamo ricevuto ordine di non lasciar passare manco le biciclette”
“E uno che deve tornare in direzione Testaccio / Ostiense, che fa?”
“Eh, può tornare su per via Claudia”
“Mi fate tornare indietro? C’è la salita! Ma mi tolga la curiosità: è per la parata del due giugno?”
Silenzio imbarazzato e gesto eloquente da parte del vigile, come a dire: il lavoro mio è questo, che le devo dire.
“Ma se passo per il marciapiede qui per il Celio?”
“Va bene, passi pure”
Ovviamente il disagio che arreco alla prestigiosa parata è lo stesso, ma li lascio nella convinzione di aver svolto il proprio lavoro a modino.
Il Celio è come al solito silenzioso e le ombre dei pini si allungano con grazia sulle falcate della mia pedalata. I profumi sono quelli della macchia mediterranea, e mi invogliano a non toccare le leve dei freni durante la discesa in direzione del Circo Massimo. Inchiodo solo quando rischio di incastrare la ruota anteriore nei binari del tram, vera nemesi della bici da corsa.
A questo punto, incrocio l’esercito. Pare il Ku Klux Klan. Branchi di militari pascolano tra via dei Cerchi e il Circo Massimo. La fanfara già suona alle tre di notte.
Camionette schierano l’artiglieria verso nemici immaginari.
Le tute mimetiche eseguono alla perfezione il loro compito, quello di rendere i loro indossatori pressoché invisibili nella boscaglia.
Faccio finta di niente, avanzo, pedalo. I ragazzi della leva chissaccheanno si voltano, mi guardano, fanno finta di niente.
Uno sciabolato in livrea mi vede avvicinarmi tra le rotaie, istintivamente si fa gentile, si sposta, mi lascia passare. Lo saluto con la mano, come fosse un pedone. Ricambia. È un ragazzo, di sicuro più giovane di me.
La divisa di umano ha ben poco, chi la indossa a volte sì.
Oppure so’ riuscito a fregalli pure stavolta.