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La lebbra del sabato sera (in bici)

20 Maggio 2014

2014: la processione di bare di acciaio su via Portuense dimostra che l’uomo non è pronto per l’automobile: e che Marinetti oltre che fascista era anche un cojone. Eccolo, il Grande Fardello dell’Uomo Bianco di cui parlava Kipling, servito in versione clacson& road rage sul Viadotto della Magliana, fatto di imprecazioni da tassista cocainomane oppure di Cid stucchevolmente ri-spiegati a stanchi vigili. O ancora di specchietti e tergicristalli staccati per rifarsi del parcheggio selvaggio.
È una guerra e non si fanno prigionieri. Niente buonismi o semi-bugie ipocrite, le posizioni dell’automobilista medio e del cicloattivista non sono conciliabili se non per abbandono del campo da parte di una delle due parti. La mobilità in una città può essere pensata in funzione di una sola delle parti, e l’altra si adatta, sopravvive.

Qui a Roma i ciclisti sopravvivono come i topi di Parigi, scansano, evitano, reclamano. E sono sempre di più.Un braccio sempre pronto ad alzarsi per ringraziare (ringraziare sempre per cortesia, mai rendere grazie per un elemosina) e un altro pronto per mandare affanculo.
Quando le mani servirebbero entrambe sul manubrio per rilassarsi.
Girare in bici in una città come Roma ti rende automaticamente conscio dei tuoi diritti e consapevole delle tue “colpe”. E anche in grado di discernere quando la legalità ha dei limiti, e va infranta. Perché a volte non usare il marciapiede è un suicidio, e usare la ciclabile diventa un’auto-ghettizzazione che relega la bici a una (mal) tollerata nota folkloristica nell’egemonia del CO2. E il Sistema ha sempre inglobato dentro di sé i suoi antagonisti riducendoli a fenomeni di moda, di costume o di clownesco fare alternativo, così come ha sempre utilizzato il divide et impera, in questo caso tra pedoni e ciclisti, che spesso li considerano “più pericolosi delle automobili”, “autocompiaciuti fanatici”, “presuntuosi che credono di poter infrangere qualsiasi codice della strada”, come se nessuno di questi attraversasse la strada col rosso. Già, perché non si incontra sempre simpatica e accomodante come spesso accade nel cicloturismo.

Il culmine di tutto è il sabato sera. Quello appena passato ho raggiunto degli amici per un compleanno a San Lorenzo, percorrendo i quartieri di Portuense, Testaccio, Ostiense, Circo Massimo, San Giovanni, Porta Maggiore. Ed è nella fascia oraria tra le 22 e mezzanotte che l’essere umano dà il peggio di sé, quando reclama il divertimento represso con disperazione. La movida romana di via di Monte Testaccio era una processione funebre e maleodorante, così fitta da costringermi a passare sul marciapiede per non rimanere fermo e intossicato. La gioventù-bene urla e cinguetta. Due bionde platinate in Smart sgasano per poi inchiodare cinque metri più avanti, pur di negarmi il passaggio. Un coattello si lamenta con gli amici, mentre chiude la portiera della macchina: “Regà aspettateme almeno, eccheccazzo, ce la sto a lascià io la maghena sulle strisce, so’ tutti bboni a fà i fenomeni co’ l a machina dell’altri!” Ma gli altri già ridono dall’altro lato di via Galvani.

Piramide, seconda stazione del calvario. Qui gli autobus si accalcano in doppia fila stremati dalle auto ferme in terza fila, ad attendere gli amici all’uscita della metro. Fuggo verso la ciclabile del Circo Massimo. Qui, un attimo di respiro: la notte di maggio è chiara, e le rovine romane riflettono una luce discreta che pare quasi bello. Ma dura poco: arrivo all’incrocione di Piazza Numa Pompilio, e comincia il carosello.

Due macchine della Municipale sgommano per bloccare il traffico: eccerto, deve da passà il gruppo delle auto d’epoca per la millemiglia. Che belle, che fascino, che stile! Però per una critical mass non ho mai visto tanto sforzo da parte del Comune. Due motociclisti della municipale che scortano la testa della processione rischiano di fare il botto con una Punto della Municipale stessa (ma in quel caso, si fa il Cid?), un drappello di vigili preposti ferma il traffico interdetto, un rombo di motori a scoppio invade casa de Albertone. Il tutto dura una decina di minuti, interminabili. So’ esaltati, vestiti come negli Anni Ruggenti e puzzano di benzina. Magari in una situazione extraurbana li avrei pure graditi. Nella curva che va verso la Colombo alcuni si fanno il pelo tra di loro, inchiodano, è tutto surreale. Poi torna il traffico normale, e intanto sono sgattaiolato sull’altro lato.

San Giovanni, dallo spiazzo della basilica comincia la fila che porta alle forche caudine di Porta Maggiore: le Termopili de noantri, una strettoia che per caso del destino è stata dettata proprio da li romani antichi in cui chi passa prima vince. E io co’ la bici passo prima, tanto lì sono lenti e non me possono arrotà.

Però poi giunti al quadro successivo tocca fà pippa, come se dice a Roma: sto parlando del semaforo tripartito di Porta Maggiore, da cui parte lo Scalo San Lorenzo, la Prenestina e la Casilina. Qui i diritti non valgono, vale la giungla, vale il far west. Quando l’uomo con l’automobile incontra l’uomo con la bici, l’uomo con la bici deve fà pippa. E anche se trovi rifugio su quella caccola de cemento tra un semaforo e l’altro, c’è sempre un infame che te passa a destra per poi svoltare a sinistra verso il Tempio del Divertimento del Giovane Fuoricorso, la povera San Lorenzo che pensava de avé visto tutto coi bombardamenti del ’44 e invece se ritrova coi tamburi e la pizzica e gli apericena bio ogni sera.

E infatti è qui che incontro il Mostro dell’Ultimo Quadro, quello che nei tardi Anni Ottanta non passavi nemmeno esaurendo i 10 credits dell’insert coin nelle sale giochi di Tor Vajanica o del Circeo: ora, nelo 2014, la folla davanti al Bar di Celestino è molto peggio. Scelgo di rimanere in sella e inchiodare davanti ai fattoni, spaventandoli un po’ come fosse una scena di Braveheart in cui ci si scanna in battaglia e c’è quello che rimane a cavallo e prende a spadate tutti.

Però poi pecco di hybris e al ritorno rimango a piedi per una foratura, ovviamente giravo senza ricambi. A piedi da San Giovanni a Portuense. A volte tocca fà pippa, è vero.

 

La lebbra del sabato sera (in bici)