La lotta greco-romana
10 Dicembre 2014
Oggi mi hanno quasi falciato.
È successo in via Magna Grecia, nel tardo pomeriggio del 9 novembre, agli inizi ufficiali del periodo natalizio e della morìa degli abeti, e soprattutto quando la cattiveria dei regali forzati costringe la gente a tentare di accorciare di qualche istante la propria corsa disperata verso il semaforo rosso successivo.
Un’utilitaria con due ragazzetti dentro mi ha tagliato la strada per girare a sinistra, inchiodando all’ultimo per evitare il frontale, per poi ripartirmi davanti. Sì, mi tengo sempre qualche metro di sicurezza/sfiducia per il genere umano, che probabilmente mi ha salvato la vita in più d’un caso, perché non basta attenersi a un codice della strada che già di per sé non tutela, a volte bisogna prevenire, guardare dov’è girata la testa di chi guida piuttosto che la freccia. E se ne sono scappati lasciandosi dietro la puzza di gomma bruciata e asfalto.
Dopo la pioggia di insulti, è rimasto l’asciutto tremante di rabbia e paura, manco uno dei miei vaffanculi è riuscito a raggiungerli.
E purtroppo, visto che in passato mi è capitato di definire quella in corso tra automobilisti e ciclisti/pedoni una vera e propria guerra, senza buonismi o conciliazioni democratiche, mi tocca anche ammettere che mille gesti educati e accorti di un cittadino al volante possono essere spazzati via da una sola manovra arrogante, irresponsabile, negligente o semplicemente disattenta.
Nonostante tutto ciò, quella che si svolge ogni giorno nel traffico è una lotta greco-romana, un corpo a corpo. Niente di drammatico o sovrumano, la strada è semplicemente il primo luogo in cui le tremende individualità del ventunesimo secolo sono costrette a confrontarsi e a condividere uno spazio comune. La strada rende di nuovo tutti uguali, è forse l’ultimo e il primo spazio veramente pubblico, non fa distinzioni tra ricco e povero, tra potente e sfigato, butta tutti in un unico calderone in cui il nobile è costretto a condividere gli stessi spazi del plebeo. Ovviamente il modo in cui si scelga di usarla o ab-usarne è un altro discorso.
Ma proprio per questo chi va in bici deve innanzitutto essere consapevole della propria corporeità all’interno di questo spazio condiviso: dopo aver parlato di impari lotte greco-romane questa affermazione potrebbe sembrare contraddittoria, ma nei fatti non lo è. Muoversi nel traffico, col traffico e non subirlo, avere consapevolezza dei propri diritti e del fatto che se parti insieme a decine di automobili al verde non ti investiranno ma aspetteranno, dovranno aspettare la tua ripartenza, non vuol dire suicidarsi, esser sconsiderati o andarsela a cercare. Significa riappropriarsi di una dimensione naturale, il fatto che la strada sia di tutti, motorizzati e non, che ci è stata tolta dietro a una marea di “sei proprio matto ad andare in bici”: no, i matti sono tutti gli altri, che accettano come normale lo stato attuale delle cose. Capovolgere i rapporti causa-effetto è sempre stato il più potente degli artifici retorici.
Sulle statali della Grecia esiste la curiosa usanza di erigere dei piccoli monumenti a bordo carreggiata, non per commemorare persone che hanno perso la vita negli incidenti stradali, bensì per ricordare il punto in cui delle persone hanno rischiato di perderla, ma si sono salvate. Queste strade (che poi raccolgono anche il traffico e le velocità delle autostrade, che lì non esistono) hanno assunto quindi nel tempo l’aspetto di un bizzarro, agrodolce cimitero di vivi-per-miracolo, o di non-morti-per-un-pelo. E, benché non creda alle coincidenze, oggi mi trovavo proprio su via Magna Grecia.
Del resto, i greci caddero sotto il dominio romano, anche se Graecia capta ferum victorem cepit [la Grecia, una volta conquistata, conquistò a sua volta il fiero vincitore]. Il verso di Orazio si riferiva alla cultura greca, che ben presto affascinò i (pre)potenti romani, cambiandone radicalmente usi e costumi con la sola imitazione. Che succeda la stessa cosa per quanto riguarda la mobilità dolce?