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A Capo Figari, dove Marconi trasmise il primo segnale radio della storia

Partenza
Pittulongu/Olbia
Arrivo
Pittulongu/Olbia
File gpx
Chilometraggio
38.6 Km
Dislivello in ascesa
630 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Regione
Fondo stradale
Le mie bici

Un anello MTB molto divertente e liberatorio, una di quelle pedalate che mischiano il dislivello al profumo del mirto. In questo caso, però, oltre agli aromi della macchia mediterranea gallurese, ci attende una meta suggestiva di quelle a cui rimane appiccicata un po’ di Storia assieme alla salsedine.

In cima a Capo Figari, promontorio all’inizio della Costa Smeralda a nord di Olbia, infatti, resiste alle intemperie e al colpevole abbandono delle istituzioni la prima stazione radio della storia, quella dalla quale Marconi inviò per la prima volta un segnale telegrafico di prova dalla Sardegna fino ai pressi di Roma – per la precisione, a Monte Cavo. Parliamo di uno dei cosiddetti semafori della Marina Militare costruito a inizio Novecento, che nel 1930 ospitò l’esperimento in questione. Per arrivarci occorre una mountain bike o perlomeno una gravel, anche se per alcuni tratti più tecnici dell’itinerario proposto è consigliabile una forcella ammortizzata e un manubrio dritto.

Il nostro giro parte da Olbia, e per esigenze di rapidità si muove su asfalto lungo la Strada Provinciale 82, che pur essendo abbastanza frequentata dal traffico, specialmente quello estivo, tuttavia conserva una buona corsia a lato carreggiata che la rendono accettabile. In alternativa si possono seguire i sentieri più vicini al mare che tagliano una buona parte di asfalto, ma il giro diventa più tortuoso e lento (alcuni tratti rocciosi o sabbiosi impongono di scendere e spingere la bici).

Il panorama marino tra Olbia e Golfo Aranci è semplicemente incantevole: il mare di un azzurro denso e deciso, ed è interrotto soltanto dalle forme appiattite degli isolotti e dagli yacht dell’opulento turismo della Costa Smeralda. La SP82 alterna dolci saliscendi che permettono comunque un ritmo vivace fino alla base della salita.

Golfo Aranci è uno degli esempi più vividi di gentrificazione della gigantesca operazione commerciale e turistica di Aga Khan, che negli Anni Sessanta trasformò i borghi galluresi della Costa Smeralda in località turistiche di lusso. Il passato verace fatto di casette di pescatori appaiate e reti ammassate sui moli ha ceduto il passo a localetti alla moda e velisti abbronzati: la natura del promontorio, però, è rimasta uguale. Le forme dell’orizzonte – che offre tramonti straordinari sul mare – è lo stesso degli arcipelaghi della Grecia dai contorni mitologici, con la gigantesca doppia gobba di Monte Ruju e Capo Figari affacciata su quello splendido ferro da stiro di granito che è l’isolotto di Figarolo.

Attraversiamo Golfo Aranci fino alla stazione ferroviaria e proseguiamo lungo i suoi binari morti paralleli al mare lungo uno stradone sterrato. È la strada per la suggestiva spiaggia di Cala Moresca, incastonata in un’insenatura di fronte all’isola. Proprio alle spalle della spiaggia, oltre una sbarra con passaggio laterale, inizia la nostra salita. Si tratta di una strada carrabile, larga abbastanza per un fuoristrada, che si inerpica per più di 300 metri dal mare alla cima del promontorio, con fondo sassoso e qualche tornante di cemento, caratteristica tipica di molte strade militari del secolo scorso. Insomma, niente di tecnico, ma molto sudore da versare. Man mano che guadagniamo quota, le prospettive si verticalizzano ed estendono gli orizzonti offrendo una visuale a volo d’uccello sulle coste frastagliate della riviera.

Giunti quasi in cima, ci appare con chiarezza la forma di Capo Figari: una lingua di terra che separa due mari, ingrossata dal rilievo del promontorio, che affaccia su una miriade di isole e isolette perse nel blu. Il vento batte incessante su quattro mura di cemento dalle persiane scolorite: dal tetto fuoriesce, piegata dalle intemperie, un’imponente antenna che sembra lì lì per franare. La storia di questo luogo è sbiadita dalla ruggine che ricopre due o tre pannelli consunti dal tempo, e al momento è in corso una battaglia legale per salvare la memoria storica di Marconi da una speculazione che vorrebbe trasformarlo un resort di lusso. Oggi l’edificio è chiuso e inagibile a causa della sua pericolosità, ma per anni è stato accessibile e alla mercè dei curiosi – si sconsiglia vivamente di fare gli esploratori, dato che le travi dei soffitti sono incurvate e anche attorno alla stazione sono presenti botole malamente rattoppate con pezzi di porte marcite e buche improvvise.

La discesa è un’esperienza totalizzante e acciottolata: i sassi sfrigolano sotto i nostri copertoni mentre perdiamo la quota accumulata a ritroso per la stessa strada militare. Poco prima di Cala Moresca, c’è un quadrivio: a sinistra il sentiero conduce a un suggestivo cimitero degli inglesi che ospita i resti dell’equipaggio del “Generoso II”, affondato nel 1887, e altri marinai ritrovati su queste coste; a destra prosegue il nostro percorso, che imbocca dapprima un vivace single track in saliscendi nella macchia mediterranea, poi una salita sempre più pronunciata su terreno argilloso e rosso con un profondo solco al centro scavato dall’acqua piovana, che rende impegnativa la risalita. Questo tratto, specie in estate, è frequentato da capre e relative zecche, per cui il consiglio è quello di non avvicinarsi troppo alla vegetazione. Ci ritroviamo nell’avvallamento tra Capo Figari e Monte Ruju, e dobbiamo guadagnare il versante nord del promontorio che affaccia a strapiombo sul mare. Quando ci riusciamo (non senza fiatone e qualche difficoltà a mantenere l’equilibrio della bici sul fondo sassoso in salita), lo scenario che ci si apre davanti è semplicemente immenso: il mare ruggisce sotto di noi, e un precipizio improvviso ospita arbusti che rivendicano la loro voglia di restare radicati, contro ogni legge fisica. Siamo sul cosiddetto sentiero dei carbonai, un percorso da trekking molto divertente anche per MTB.

Una ripida discesa su pietroni ci avvicina un poco alle scogliere sotto di noi, eternamente tormentate dalle onde: poi uno strappetto in salita, e infine la discesa finale attorno a monte Ruju per tornare di nuovo a Golfo Aranci: sabbia, terra e sassi si alternano in una sinfonia di forcelle sofferenti. Il ritorno è a ritroso sulla litoranea verso Olbia, carichi di bellezza e di graffi di ginepro sulle braccia.

Foto