A Monte Pinu, nel cuore della Gallura
Un giro MTB o gravel piuttosto impegnativo e molto appagante, con partenza e ritorno a Olbia. La meta questa volta è un rilievo dell’entroterra costiero, troppo grande per essere chiamato collina e troppo piccolo per potersi definire pienamente montagna: coi suoi 742 metri, Monte Pinu domina le screziature geografiche del golfo di Olbia, contemplandone le forme frastagliate con fiera imponenza.
Prosecuzione in minore del gruppo montuoso del Limbara, il Monte Pinu è un unicum della zona, e le conifere da cui prende il nome costituiscono una specie endemica della regione, in una serena convivenza con la macchia mediterranea. La nostra strada è un cumulo di rocce aguzze, terreno rossiccio e panorami inaspettati, tra aride pietraie e lussureggianti pinete ombrose, che sembra isolato dal resto delle alture, di cui pure la regione è ricca.
Per arrivarci, la nostra traccia esce da Olbia utilizzando non il percorso più breve, ma quello con più sterrati e privo di automobili: se si prende la mountain bike, una volta che si hanno quei copertoni cicciotti e dentellati tocca sfruttarli il più possibile. Nulla impedisce comunque di accorciare il giro e velocizzarlo avvicinandosi al monte Pinu per strade più dirette come corso Vittorio Veneto o la Settentrionale Sarda.
Percorriamo quindi il sistema di recenti ciclabili olbiesi dal porto, per poi imboccare via Ungheria subito dopo il ponte che attraversa il Riu de Saligheddu: in un paio di svolte ci ritroviamo in via Siena, strada priva di traffico accanto alla linea ferroviaria, che pare quasi prenderci per mano per portarci fuori dal centro abitato, in una transizione da città a campagna quasi impercettibile. Una campagna rada, selvaggia, a volte desolata incornicia solitari passaggi a livello e grosse tartarughe di terra che prendono il sole a bordo strada. Ci troviamo ora nelle zone colpite dall’alluvione del 2013, nell’immediato entroterra di Olbia, ancora oggi a elevato rischio idrogeologico a causa delle frequenti esondazioni di torrenti e fossi. A proposito di alluvioni, la strada asfaltata più diretta per monte Pinu è chiusa da anni proprio per questo motivo, essendo franato in più punti l’asfalto di via Santa Lucia (poi SP38bis).
Il nostro giro per sterrati e strade bianche passa invece per pascoli di pecore e mucche, piccole frazioni e ha solo un piccolo guado di un torrente secco, dove la strada è crollata ma è possibile scendere a piedi sulla pietraia che è rimasta al suo posto (vedi foto sotto). Ci attendono poi 7 km di leggera ma costante salita in direzione Telti/Priatu su asfalto, unico tratto condiviso col traffico di tutto il nostro percorso.
Poco dopo il bivio per la 38bis, la strada chiusa di cui sopra, inizia la scalata del monte Pinu. Una strada carrareccia, larga al punto da far passare un fuoristrada (o un Panda 4×4), dove tuttavia i sassi grandi e aguzzi contribuiscono alla difficoltà delle pendenze che hanno punte del 13%. Poco tecnico, molto penitente. La strada sale all’ombra dei pini tra scricchiolii e ampie circonvoluzioni che scoprono a poco a poco il panorama circostante, riservandosi sempre una fessura (a volte una voragine) scavata dall’acqua piovana che divide in due la carreggiata, a mettere in crisi la scelta della traiettoria del ciclista. Entriamo poi nella rete dei sentieri del Monte Pinu, più o meno percorribili in bici, ma che valgono più di una deviazione o pausa: in questo curioso rilievo si alternano infatti dolomie del mesozoico, graniti ercinici e falesie, che formano sagome fantastiche come la Roccia dell’Elefante (da non confondere con quella più nota vicino Castelsardo).
La cima offre una visuale a 360 gradi, essendo dominata da una postazione di osservazione della forestale: possiamo così ammirare la penisola di Capo Figari e Golfo Aranci, le isole della Maddalena con le coste della Corsica sullo sfondo, il massiccio del Limbara all’interno e naturalmente l’iconica sagoma di Tavolara, isola simbolo della città di Olbia.
Per il ritorno, la chiusura dell’anello segue una strada diversa dal ritorno, che offre un volto ancora diverso del monte chiedendo in cambio solo qualche strappo imprevisto e qualche imprecazione in più. Dopo la violenta discesa su fondo sassoso e terra rossa, in cui ci ritroviamo sull’altro versante del monte in una dimensione quasi preistorica, ci tocca un fondo valle nei pressi del canale Riu San Giovanni. Ancora ebbri della desolazione granitica del paesaggio e della discesa, ci rendiamo solo ora conto che per tornare a Olbia c’è un ripido passaggio obbligato per una implacabile pietraia assolata: uno strappo breve, di circa 3 km, ma ripido e particolarmente fastidioso, specie dopo la scalata di prima.
A compensazione dello sforzo inaspettato, ecco una discesa altrettanto ripida e improvvisa, che rientra a Olbia attraverso le sue frazioni, passando per via San Vittore, Teggia de Sambene e Sa Istrana attraverso ville e fattorie.