A Poggio Mirteto lungo la via Tiberina
I modi per uscire da Roma in bici non sono moltissimi: a) si prende il treno, ci si carica la bici discutendo col controllore per spazi promessi ma inesistenti e si inizia a pedalare direttamente dall’esterno del GRA; b) si prende una bici da corsa, si fanno i 40 all’ora e si prende la prima consolare trafficata che capita, dopo essersi raccomandati alla benevolenza degli dèi pagani degli svincoli; c) si segue uno dei sentieri e passaggi dimenticati dal Cemento, delle “vie di fuga” dalla città poco trafficate. Verso sud, abbiamo l’Appia Antica, che scavalca il raccordo che lì sotto è interrato; a nord la Francigena dentro al Parco dell’Insugherata, ma è un percorso sconnesso da mountain bike; sempre a nord, esiste la via Tiberina, che offre un traffico più o meno moderato costeggiando l’A1 e il Tevere.
Questo percorso fino ai colli sabini e al bel borgo di Poggio Mirteto dà un senso alla ciclabile dorsale Tevere, che permette di pedalare in tranquillità lungo le sue sponde fino a Saxa Rubra. Qui la ciclabile ci abbandona per attraversare il fiume con un viadotto parallelo al raccordo che finisce nel nulla a Castel Giubileo, mentre noi inforchiamo il sottopasso per ritrovarci alla stazione ferroviaria di Labaro: qui è necessario attraversare i binari servendosi del sottopassaggio e procedere per la via Flaminia antica, fino ai resti della Villa di Livia, moglie dell’imperatore Ottaviano Augusto. Qui ci attende ancora un ostacolo, evidente prezzo da pagare per sfuggire alla città: un passaggio pedonale sul letto di torrente prosciugato e immerso nei rifiuti. Superati i pochi scalini, gli ostacoli sono finiti e le ruote della bici possono finalmente spalmarsi sull’asfalto di Prima Porta.
Giriamo a destra e imbocchiamo la via Tiberina, che ci riporta vicini al corso del fiume: primi alberi, meno traffico, addirittura un campeggio, il Tiber. Suona strano, quasi stride, il fatto di andare in campeggio a Roma. Fino a Fiano Romano la strada non è eccezionalmente bella, ma relativamente tranquilla: rettilineo di campagna, con i primi colli sabini che si profilano alla nostra destra.
In seguito, quando abbandoniamo la via Tiberina attraversando l’A1 sopra un cavalcavia per imboccare via Procoio, il traffico si fa ancor più scarso e il paesaggio fluviale migliora decisamente: ci approssimiamo alla Riserva Naturale di Nazzano, dove il Tevere si mostra in una veste inedita, quello di grande e placido corso d’acqua finalmente libero da argini e costrizioni urbane. Insomma, ma è il Tevere quello?
Poco prima di Nazzano, ci attende la prima delle due salite del percorso: attraversiamo ancora una volta l’A1, e ci tocca qualche tornante per guadagnare quota. Lato positivo: il panorama della valle del Tevere dall’alto; lato negativo: l’enorme viadotto autostradale in cemento che rovina parte del paesaggio. Attraversiamo così Nazzano e Torrita Tiberina, paesi medievali dominati da pittoresche fortificazioni. Dopo Torrita, un paio di chilometri di violenta discesa ci riportano al livello del fiume, che attraversiamo per la prima volta con un ponticello stradale. Siamo arrivati a Poggio Mirteto Scalo.
Scalo è una parola troppo spesso trascurata, che messa dopo al toponimo che ci interessa cela all’automobilista una decina di minuti in più da calcolare e al ciclista una salita infame e imprevista. Ovviamente, chi è diretto verso nord può continuare a costeggiare il fiume in pianura; chi invece ha scelto Poggio Mirteto come meta, ad esempio per partecipare al Carnevalone Liberato, festa anticlericale che celebra la ricorrenza cacciata dello Stato Pontificio dai Comuni Sabini, ha gli ultimi 6 km – i più duri – da affrontare.
Il ritorno alla stazione però è in discesa, suvvia.