Alla Baita La Faggeta sul Cimino
UNA ZUPPA DI FUNGHI VAL BENE LA SCALATA DEL CIMINO
A patto che siano funghi come si deve. Questo itinerario offre paesaggi in uno dei boschi più belli dell’Italia Centrale, una sorta di monumento della natura da guadagnarsi col sudore di una scalata che nel giro di 17 km ci porta dai 350m di Viterbo ai 1050 del Monte Cimino.
La partenza prevista è dalla Stazione di Viterbo, ben collegata con Roma con partenze a cadenza oraria. Per essere in cima a un orario decente per il pranzo, si consiglia di prendere il treno delle 7.45 o quello delle 8.52 da Stazione Ostiense, a seconda del proprio ritmo e allenamento. Da Viterbo, i 17 km che ci separano dall’abbuffata in quota sono tutti in salita.
L’esordio non è certo dolce: dopo aver lasciato la stazione svoltando a destra, al primo semaforo a destra prendiamo la SP1 Cassia Cimina, che ci accoglie immediatamente con un rettilineo alberato in forte salita: mentre muscoli e giunture si abituano alla scalata, sulla sinistra compare il lungo muro della caserma militare e il suo filo spinato.
La fine del muro di cinta per nemici inesistenti sancisce un breve riposo da questo primo, duro strappo: se non altro, da qui in poi il paesaggio diventa più bello e la pendenza più lieve. I primi pini cominciano a farci strada nel Bosco con la B maiuscola.
Ai tre bivi che ci si propongono durante la salita, è facile mantenere la direzione giusta: sempre a sinistra, sempre verso la salita, tanto la cima del monte è su quel lato: lasciamo la SP1 prima per la SP25, poi per la SP32, seguendo sempre Soriano in Cimino; al terzo bivio compare il cartello marrone che indica la Faggeta: il maestoso bosco di castagni cui eravamo stati abituati dai frequenti ricci di castagne e ragni al lavoro sulle loro tele cede il passo alle forme slanciate dei faggi, signori incontrastati di quote più alte.
Questa vegetazione “di confine” è molto suggestiva, e ristora la continua salita: siamo ormai sugli 8/900 metri, mancano ancora alcuni tornanti, forse i più duri, quindi è opportuno fermarsi a un antico fontanile accanto a un edificio diroccato e mangiato da edera rossa, situati su uno spiazzo dal quale è possibile ammirare dall’alto il panorama la rocca di Soriano e la vallata della via Cassia.
Lungo quest’ultimo tratto, dall’asfalto lievemente sconnesso e dalle forti pendenze, partono inoltre molti sentieri escursionistici. Ancora qualche centinaio di metri, e si apre lo spiazzo della Baita: qui la strada asfaltata finisce, c’è un sentiero immerso nella foresta secolare che porta in cima con pochi passi, ma per chi è dominato dalla fame l’impresa è finita.
Il ritorno prevede varie soluzioni: per chi è distrutto e non vuole rischiare altre sorprese, si consiglia il ritorno a Viterbo lungo la strada dell’andata, per godersi la sensazione di vedersi scivolare davanti i 17 km tanto duramente conquistati in una quarantina di minuti. Occhio al vino, ché le curve so’ strette.
Per chi invece vuole tornare lungo una strada diversa dall’andata, consigliamo di scendere al terzo bivio svoltando per la SP1 in direzione Lago di Vico / Ronciglione / Caprarola (non fate come noi, che abbiamo preso il secondo bivio, passando per Fabrica di Roma, allungando notevolmente e prendendo un sacco di infiniti saliscendi). L’andamento altimetrico del ritorno è generalmente in discesa/pianura, con qualche lieve saliscendi, immerso in distese di ulivi e noccheti. Si attraversano così i bei borghi di Caprarola e Ronciglione, fatti di tufo e vecchi in attesa alle piazze dei bar, fino ad arrivare alla stazione di Capranica, lungo il percorso della linea Roma/Viterbo.
LA BAITA “LA FAGGETA” (cliccare per il sito)
Questa baita è il classico miraggio alla fine della salita, unico avamposto cibo-munito sull’unica strada per il Monte Cimino, la cui presenza ci è stata preannunciata dall’incontro con un furgone “salumi/formaggi/gastronomia” che scendeva, quasi come un segno divino. I prezzi sono lievemente più alti della media abbondante e dozzinale di “Benessere&Salume”, ma quei 2/3€ in più sono pienamente giustificati dall’eccezionale qualità dei piatti. Comunque sia, con 26€ a testa siamo riusciti a mettere nello stomaco un primo, un antipasto, due grappe e un (ottimo) rosso della casa. “La bici merita rispetto”, ha commentato il simpatico cameriere vedendoci arrivare.
Ci troviamo a poco più di mille metri, nella quiete ombrosa di un bosco secolare, e il menu non può che offrire il meglio della tradizionale cucina montanara della Tuscia: selvaggina, cinghiale (vengono da qua, tranquilli: ne abbiamo visto uno morto a bordo strada) e carni Chianine cotte sul forno a legna, fagioli, lenticchie, e soprattutto gli squisiti funghi della faggeta, serviti in zuppa con finocchietto selvatico.