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Alla Certosa di Trisulti, sui monti Ernici

Partenza
Ferentino stazione FFSS
Arrivo
Frosinone stazione FFSS
File gpx
Chilometraggio
63.5 Km
Dislivello in ascesa
1320 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Regione
Fondo stradale
Le mie bici

Un percorso per bici da strada non troppo lungo e molto appagante, che regala dei panorami inaspettati nella parte della Ciociaria più remota e defilata, quella dei Monti Ernici. Come molti altri, si tratta di un percorso a forma di C che sfrutta una linea ferroviaria per allontanarvisi e raggiungere zone non servite dal treno, e poi tornare ad avvicinarvisi per il ritorno verso Roma.

In questo caso la ferrovia in questione è la linea Roma-Frosinone-Cassino, che scorre lungo l’avvallamento della campagna ciociara in parallelo all’A1, separando le catene montuose dei Lepini e degli Ernici: con poco più di 60 km di percorso possiamo partire dalla stazione di Ferentino e tornare in giornata da quella di Frosinone per scoprire una meta davvero stupenda, la Certosa di Trisulti.

Incastonato nel verde preappenninico tra folti boschi di castagni e querce, questo complesso monastico è una delle tappe del Cammino di San Benedetto e vanta una storia pluricentenaria: il suo nome “Tres saltibus” deriva dai tre salti, o valichi, che separavano Lazio e Abruzzo in questo punto, e vide vari avvicendamenti di ordini religiosi, dai benedettini ai certosini, mantenendo sempre una caratteristica gradita al cialtrone: quella della produzione di erbe medicinali e infusi per amari.

E se, come taluni compianti cantautori sostengono, nell’amaro benedettino non sta il segreto della felicità, la combinazione di liquori di abbazia con salite tortuose e desolate discese che scoprono scorci e balze rocciose può senz’altro essere considerata un ragionevole compromesso per quella lieta ebbrezza che regala ai copertoncini sottili quel nonsoché di traballante che rende tutto più stimolante. Ma andiamo con ordine.

I primi km dallo scalo di Ferentino non sono entusiasmanti, e si muovono in campagne piuttosto anonime tra sottopassi, superstrade e ferrovie. Poi inizia la salita, e inizia il divertimento. L’antica porta delle mura di Ferentinum è già presaga di vestigia romane, di alture più dimesse e meno accessibili, e poco importa se gli strappetti fiaccano i flaccidi polpacci con pendenze improvvise e punitive. Dura poco.

Usciamo da Ferentino per via Marconi, e continuiamo a guadagnare quota ma in maniera più gentile fino a Fumone, fino ad arrivare alle pendici della sua arx (rocca). Non entriamo nel borgo, ché già altri itinerari ci portano lì, e la nostra meta è un po’ più a fianco. Frattanto le sagome degli Ernici si affacciano generose e prepotenti tutto attorno a noi, le strade si svuotano di traffico, e ci lasciano padroni della strada.

Lunghi rettilinei in falsopiano si aprono in direzione Alatri, mentre le sagome dei monti si fanno più vicine. Una rotatoria all’ingresso del paese ci fa evitare l’attraversamento del centro storico, che pure merita una visita così come Fumone.

Dal punto di vista ciclistico, però, è da qui che inizia il tratto più bello. La strada verso Collepardo si inerpica gradualmente seguendo le anse di una ripida gola scavata con pazienza dal fiume Cosa, che scorre decine di metri più in giù. La strada regala scorci degni dell’entroterra corso, e un sapore rustico davvero sorprendente. Il bordo del precipizio è marcato soltanto da un basso muretto di cemento, come s’usava un tempo, mentre il fianco del monte alla nostra destra presenta solchi morbidi e verdi simili alle sinuosità del Monte Olimpo.

La salita è semplice e affascinante, e così l’arrivo al borgo di Collepardo, famoso per una delle formazioni geologiche più bizzarre del centro Italia, quasi unica nel suo genere: parliamo del Pozzo d’Antullo, un’enorme voragine carsica risultato del collasso di una grotta oggi priva del soffitto, in pratica una Grotta di Collepardo alla quale ha detto male.

Dopo Collepardo, il paesaggio cambia ancora. Siamo oltre i 700 metri di quota, il fresco collinare ci avvolge nell’ombra di veraci cerrete e lecceti; la carreggiata si restringe, tanto il doppio senso di marcia servirà una volta al giorno a dire tanto. La salita è graduale e ascetica, di quelle che si gustano a ogni giro di pedivella.

Poi, all’improvviso, la Certosa. Un complesso monastico lungo il Cammino di San Benedetto, uno dei luoghi di eremitaggio del norcino nel viaggio della sua vita appenninica dall’Umbria al basso Lazio, un luogo dove la tranquillità ti avvolge col silenzio. Bellissimi gli affreschi, certosino ogni manufatto, frati peripatetici ti salutano panciuti mentre giri sotto i porticati del chiostro.

La strada del ritorno indicata nella traccia chiude un giro ad anello che passa per Veroli: per arrivarci ci attendono svariati chilometri di discese vertiginose e panoramiche nel verde brillante degli Ernici, tra formazioni rocciose particolari e curve inattese. Provinciali deserte e quasi dimenticate nell’entroterra ciociaro, la cui quieta solitudine è rotta soltanto da un gregge di pecore riportato nel recinto da apprendisti cani pastore. Qualche lieve saliscendi ci fa capire che non è comunque tutta pacchia fino alla stazione: ne abbiamo uno poco dopo l’abbazia, e l’altro prima del borgo di Veroli, dove è consigliata una sosta in uno dei tanti forni.

Attraverso stradine secondarie, sempre in discesa, attraversiamo la SS214 per Casamari, per costeggiarla su una complanare meno trafficata in direzione di Frosinone. La traccia ci porta alla stazione ferroviaria per il treno del ritorno costeggiando il più possibile il fiume Cosa, ed evitando l’impatto con le trafficate periferie del capoluogo.

Foto