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Da Rosy a Capranica Prenestina

Partenza
Valle Aniene/Mandela/Sambuci stazione FS
Arrivo
Valmontone stazione FS
File gpx
Chilometraggio
43.7 Km
Dislivello in ascesa
1020 Mt
Tipologia di percorso
Paesaggio
Regione
Fondo stradale
Le mie bici

IL TRIPUDIO DEL CASARECCIO TRA I MONTI PRENESTINI

Il preappennino tra la Tiburtina Valeria e l’agro ciociaro nasconde strade meravigliose e poco trafficate, che offrono al ciclista abbondante e dozzinale la possibilità di espiare le sue malefatte caloriche in anticipo, pagando il fio e compensando la sua voracità con quantità ragguardevoli di dislivello. Questo itinerario è stato studiato per unire un po’ di fatica da salita con un percorso breve, di una quarantina di chilometri in totale, in modo tale da accrescere l’appetito con l’andata e rilassarsi dopo pranzo con la discesa fino al treno.

La partenza suggerita è la stazione di Valle Aniene / Mandela / Sambuci, collegata con partenze da Roma Termini, lungo la linea per Avezzano. Noi abbiamo scelto di partire alle 8.57 per cominciare a pedalare da lì alle 10.14 ed avere tutto il tempo di fare soste, foto e prendersela comoda. I più allenati potranno partire anche dalla stazione di Tivoli e seguire la Provinciale Arciempolitana fino a Sambuci, prolungando l’itinerario con una partenza più vicina a Roma.

Da qui imbocchiamo per qualche metro la Tiburtina Valeria, prosecuzione della strada romana dopo Tivoli, a destra in direzione Avezzano, per poi svoltare ancora a destra al primo cavalcavia. Qualche centinaio di metri ancora, e seguiamo le indicazioni per Sambuci, svoltando a destra una terza volta sulla SP41/a.

Da qui il paesaggio si fa boscoso, e il gorgoglìo dell’Aniene ci annuncia la presenza del suo corso ancora giovane a fianco della strada, prima che lo scroscio di cascatelle lo manifesti in tutto il suo fascino.

L’andamento altimetrico è in leggera salita, che si interrompe per far posto a una piacevole pianura sul fondo di una vallata fino all’ingresso in Sambuci. Da qui è consigliabile prendere a sinistra per la SP42/a seguendo le indicazioni per Cerreto Laziale, lungo un bel rettilineo alberato, dove è possibile contare più cavalli che automobili.

Giunti ormai all’ombra di Cerreto, all’altezza di una rotatoria svoltiamo a destra seguendo per Pisoniano, andando verso il termine della pacchia rilassata dell’assenza di dislivello: dopo questi primi 11 km senza eccessive difficoltà, comincia l’ascesa verso Capranica, che dai 400m di quota attuali ci porterà ai circa 950 della nostra meta, salendo di 550m nel giro di circa 12 km. Sulla destra infatti compaiono le prime forme montuose frastagliate.

La salita è prima graduale, poi si fa sentire, specie all’ingresso di Pisoniano: questo grazioso paese merita una sosta, anche per ammirare dal basso il Santuario della Mentorella, addossato su un costone del Monte Guadagnolo.

Poche centinaia di metri in discesa, e si riprende la scalata. Cerreto e Pisoniano sono ormai degli ammassi di puntini bianchi in basso a sinistra, mentre a destra un torrente si fa largo tra i massi coperti di muschio. Sullo sfondo, a seconda della stagione, le cime innevate di Velino e Gran Sasso.

Un ultimo strappo e compare il rassicurante cartello che dà il benvenuto al paesino di Capranica Prenestina, paesino di appena 350 anime arroccato sulla sommità di un poggio, la cui rocca suggestiva è costellata da vicoletti che nascondono un duomo del XV secolo dove Bramante e Michelangelo avrebbero lasciato le loro zampate. Se il tempo e il fiato lo consentono, il Santuario della Mentorella si trova a una decina di chilometri da qui, altrimenti è consigliabile accomodarsi tra i pochi, familiari tavoli della Taverna Hieronymus.

Per il ritorno, esistono due mete alternative dalle quali riprendere il treno per Roma: Zagarolo e Valmontone, la prima più vicina, la seconda con treni più frequenti, in ogni caso sulla stessa linea Frosinone/Roma. Specie di inverno, quando le ore di luce sono più scarse, è opportuno considerare un’ora e mezza per scendere in tranquillità lungo i 20 km che ci separano dalla piana ciociara.

Il post-Rosy mal si concilia con ulteriori sforzi, quindi è bene scegliere la strada per Castel San Pietro Romano e non quella per Rocca di Cave, anche se entrambe conducono a Palestrina, dove a parte un tratto di un paio di centinaia di metri di lieve salita, possiamo rilassarci perdendo quota gradualmente. Anzi, l’inevitabile e martellante stato di ebbrezza dell’altrettanto inevitabile rosso della casa mette in una condizione di allerta per i tornanti in discesa.

In ogni caso, tempo permettendo, è consigliata una breve sosta a Palestrina, odierna Praeneste, dove sono visitabili le mura ciclopiche e numerosi resti romani, tra cui il basamento del Tempio della Fortuna Primigenia, del I sec. a.C., che si affaccia su una bellissima terazza panoramica.

LA “TAVERNA HIERONYMUS“, per gli amici “da Rosy” (cliccare per contatti)
Odore de cacio quasi solido. È questa la prima accoglienza che questa taverna riserva a chi ci entra la prima volta: pochi, pochissimi tavoli, atmosfera che definire conviviale sarebbe riduttivo, questo luogo è un vero e proprio Tempio del Cibo, l’incarnazione dell’ideale stesso di Abbondante e Dozzinale, o meglio ancora una sintesi hegeliana che concilia quantità e qualità in maniera deliziosamente armonica.

Rosy siede al tavolo con amici e parenti, si cura dei clienti quanto si curerebbe di viandanti entrati per caso tra i suoi quattro tavoli, e durante tutto il tempo in cui rimaniamo lì pranza al tavolo come gli altri, alzandosi di tanto in tanto a prendere le ordinazioni o a scherzare con chi riesce ancora ad aprire bocca.

L’antipasto è un po’ come il “VIA!” del Monopoli: praticamente impossibile da evitare. Si ritirano le 20.000 lire sotto forma di bruschette miste (incredibili quelle alla crema di carciofi), un enorme tagliere di salumi (il salame odora di montagna), ricottine con marmellate e bufalona tondeggiante (immediatamente soprannominata la “zinnona prenestina”), fiori di zucca fritti, melanzane e peperoni sott’olio, ceci e fagioli, trippa alla romana. Tutto in porzioni più che generose.

I primi sono combinabili e altrettanto variegati: tonnarelli, fettuccine fatte in casa o cannelloni, tutti condibili con funghi in bianco, amatriciana, cacio e pepe, oppure polenta, anche questa disponibile a essere inondata di sugo di spuntature, funghi o gorgonzola.

Per chi è ancora in condizioni, Rosy snocciola fiera i secondi, che vanno dall’intera fauna locale (arrosti, abbacchi, salsicce, spuntature) a contorni sontuosi come la scamorza al forno ripiena di cicoria ripassata in padella. Ma arrivare al’ultimo quadro è impresa assai ardua. Visti i tempi stretti, noi optiamo per un pezzo di crostata fatta in casa, caffè e ammazzacaffè (dalle grappe all’amaro abruzzese, so’ ‘ggioie rare che rendono evanescente il ricordo di aver preso un caffè).

Trionfo di antipasti, primo, dolci, caffè e ammazzacaffè, 4 tubbi e ‘na fojetta di rosso della casa: venti euri secchi a cranio. Eravamo in sette. No, non si sono sbagliati.

Mentre usciamo barcollanti salutando gli astanti, l’unico suono che rimane è la voce di Rosy, tra il divertito e lo scocciato, che si lamenta: “Questi vojono salvà il mondo e se scordano de chiude la porta!”

Foto