Da Zi’ Catofio lungo la via Cassia Cimina
UNA META DAVVERO ABBONDANTE E DOZZINALE
Un percorso affascinante tra le colline dell’Etruria, tra laghi, colline e campagne dell’Alto Lazio, con una meta che riesce a incarnare alla perfezione lo Spirito Abbondante e Dozzinale, la quintessenza dell’enogastroglodita: la trattoria di Zi’ Catofio. Questo locus amoenus abbarbicato sul ciglio di quello che un tempo era un cratere vulcanico, oggi alture sul Lago di Vico, fa davvero della quantità il suo asso nella manica, dell’untantoalchilo la sua professione di fede.
La partenza scelta per il nostro itinerario è ancora una volta dalla stazione di Anguillara, ottima base di partenza per le incursioni nella Tuscia anche grazie alle belle strade sulle sponde del Lago di Bracciano, oltre che dai facili collegamenti in treno della linea regionale per Viterbo. Nella stagione invernale è bene considerare che le ore di luce sono più preziose e ingrate, quindi è bene muoversi il prima possibile. Per essere in orari utili al Luogo del Cibo di turno, si è scelta la partenza delle 8.22 da Roma Ostiense.
Dalla stazione ci si muove verso il Lago di Bracciano, prima lungo la trafficata Via Anguillarese, a brevi tratti dotata anche di corsia ciclabile laterale, poi sullo splendido lungolago in direzione Trevignano: si pedala in agilità sotto i filari di alberi ingialliti, la strada è piuttosto stretta ma non molto trafficata.
La salita di Monte Rocca è il primo ostacolo tra gli aneliti dello stomaco e i rantoli delle gambe: gli effetti della colazione cominciano a cedere il passo al vuoto esistenziale di chi già sta a pensà al momento in cui potrà infilarsi il tovagliolo nel colletto, a mo’ di bavaglino, e questo primo strappo porta con sé alcune garbate imprecazioni. Usciti dal borgo di Trevignano, si svolta a destra per guadagnare poco più di 200 metri di quota e immergersi nella suggestiva campagna della Tuscia.
Superato questo primo ostacolo, ci si può rilassare con l’aria frizzante in faccia della successiva discesa verso la via Cassia: il premio è quel delizioso ammasso di tufo abitato che risponde al nome di Sutri. Doverosa e consigliata una sosta all’anfiteatro romano, interamente scavato nella roccia, la cui visita è gratuita – particolare che accresce ulteriormente il suo fascino.
Passata Sutri, pochi chilometri più avanti troviamo un altro monumento a tempi andati e sicuramente migliori dei nostri, un autentico pezzo di storia che odora di tavolini di alluminio da bar anni Settanta e che talvolta ancora oggi si accompagna alla dicitura “birre nazionali ed estere” nei menu di certi localetti di frazioni del Centro-Sud: sto parlando dell’ex fabbrica Chinotto Neri a Capranica. Breve sosta, religioso silenzio per il pellegrinaggio all’italico agrume, uniche parole consentite il sempreverde slogan: Se bevi Neri, ne ribevi.
Al primo tornante per Capranica, svoltiamo a destra in direzione Ronciglione / Caprarola. Da qui si apre una bellissima provinciale abbandonata al fascino discreto delle coltivazioni a nocciole e mele rosa, ottimo aperitivo da raccogliere lungo il percorso. Strada dall’asfalto dissestato, andamento altimetrico scostante, pace interiore.
Arrivati a Ronciglione, un’ultima fatica si frappone tra i nostri pignoni e le generose mestolate di Zi’ Catofio: una salita breve ma intensa, con alcuni tratti che sfiorano il 12%. La discesa conseguente è un affondo nel panorama del Lago di Vico, il tutto sotto la placida supervisione del Monte Cimino, poco più a destra. A questo punto, poca importanza hanno gli ultimi, delicati saliscendi prima del fatidico chilometro 16,800 della Cassia Cimina, e ancor meno importanza assumono i grotteschi fregi neoclassici in stucco bianco della discoteca Cigni. Sulla destra, un’insegna dal gusto famoseaccapì ci porta con grazia su uno sterrato.
Per il ritorno, esistono almeno due soluzioni: noi abbiamo scelto quella più lunga e priva di nuove salite, per permettere alla digestione di fare il suo dovere con l’aria freschetta delle discese verso Civita Castellana. Scegliendo di proseguire per la Cassia Cimina, infatti, possiamo girare a destra per Caprarola e lanciarci in una vertiginosa discesa tra i castagni, passare poi i paesini di Carbognano e Fabrica di Roma e goderci infine le campagne pianeggianti dove il profilo del Monte Soratte scandisce il ritmo tranquillo della pedalata. Passata Fabrica, NON entriamo a Civita Castellana ma deviamo a sinistra per la SP74 e poi per un brevissimo tratto di Flaminia in direzione Borghetto, dove c’è la stazione FS che collega Roma con corse ogni mezzora/ora. Occhio a non confonderla con la linea Roma Nord, che passa invece per il paese di Civita che non consente trasporto bici.
La seconda soluzione consiste nel tornare indietro per circa 17km in direzione Capranica, e prendere il treno dalla stazione di Capranica Scalo lungo la Cassia, ma bisogna considerare ulteriori saliscendi col fardello del pranzo in più addosso.
ZI’ CATOFIO (clicca per il video)
Ogni ciclista cialtrone che si rispetti deve aver mangiato almeno una volta nella vita da Zi’ Catofio. È una sorta di rito iniziatico, di passaggio all’età adulta. E nel suo ruolo di guida in questa delicata fase di passaggio, Zi’ Catofio non va tanto per il sottile. Ti accoglie urlando, ti schiaffa al tuo posto e ti ingozza come una delle oche che passeggiano libere nel cortile della trattoria. E continua a cantare mentre serve tra i tavoli, con ben poca preoccupazione di mascherare la propria ebbrezza. Non esiste un sito internet, soltanto un video di clienti evidentemente soddisfatti.
IL MENU
Come recita fieramente l’insegna al bivio con la Cassia Cimina, il menu turistico è fisso a 20€, bevande escluse. Si consiglia vivamente di portarsi delle vaschette portacibo da casa, per riportarsi l’abbondante e dozzinale bendiddio che viene propinato senza pietà alcuna. Si comincia con gli antipasti: bruschette, salumi, mozzarelle, dei minisupplì che si squagliano in bocca, crocchette e pane fritto (=olio solido). Inesorabile, la cameriera compie ripetute incursioni con i due primi, che vengono scodellati in dosi massicce, strozzapreti all’amatriciana e una bianca boscaiola. Si conclude (o meglio, noi abbiamo concluso, ma il Catofio avrebbe tranquillamente continuato) con arrosti misti (maiali, pollastri, pancetta e chi ne ha più ne metta) o stinco di maiale, il tutto condito da vassoi di patate al forno. Caffè e dolci compresi, vino e ammazzacaffè no, ma al secondo abbiamo rinunciato per non finire lunghi sull’asfalto. Conto totale, 22€ a testa, canzoni di Catofio comprese. Ben si addicono i versi del “Morgante” di Luigi Pulci (1478):
115 Rispose allor Margutte: – A dirtel tosto,
io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto,
e molto più nell’aspro che il mangurro;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi gli crede;
116 e credo nella torta e nel tortello:
l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;
e ’l vero paternostro è il fegatello,
e posson esser tre, due ed un solo,
e diriva dal fegato almen quello.