Dalla Ciociaria agli Aurunci, attorno al Redentore
Un percorso collinare nervoso e affascinante, di quelli che accettano dislivelli continui e ripidi in cambio della lontananza dal traffico. Un percorso perfetto per le gravel, troppo frastagliato e dissestato per le bici da corsa, ma sprecato per le ruote imponenti delle MTB. Un percorso intriso della storia recente del nostro Paese, per la precisione una delle pagine più dolorose della Seconda Guerra Mondiale, narrata da Moravia e recitata da Sophia Loren: parliamo delle cosiddette “marocchinate“, quando nel 1944 ai mercenari in servizio nell’esercito francese alleato furono concesse 48 ore di libertà per fare il proprio comodo coi civili, come ricompensa per aver sfondato la Linea Gustav tedesca. Il risultato furono saccheggi, stupri e uccisioni di massa in molti dei paesini delle valli ciociare, dagli Aurunci alla Val di Comino; i soldati si lasciarono alle spalle una scia di devastazione, e tristemente noti rimasero i paesi di Vallecorsa, dove è ambientato La Ciociara, ed Esperia.
Lasciando un attimo la storia di cui questi luoghi sono ancora madidi, noi pedalatori ci concentriamo sulla natura, quella incontaminata del Parco Naturale dei Monti Aurunci, la catena montuosa costiera più a sud del Lazio, quella che divide le valli ciociare dal Golfo di Gaeta. Questa zona che sa mescolare in pochi chilometri complessi speleologici come le Grotte di Pastena e dislivelli importanti, litorali incantevoli e quintali di storia e mitologia omerica, è dominata dalla cima del Redentore (1253 m), monte difficilmente espugnabile e sadico.
A essere sinceri, l’uscita presente nasce da un fallito tentativo di scalata del Redentore dal versante interno, cui si è dovuto rinunciare per questioni di stagione, ore di luce, tempo a disposizione e una concezione troppo ottimistica del nostro allenamento. La prima volta era fallita per una questione di bici inadatte al fondo stradale.
Dalla stazione di Castro – Pofi – Vallecorsa pedaliamo sempre su strade secondarie, libere dal traffico, in un contesto rurale verace e pecoreccio. Il panorama sulla strada, specie nelle giornate limpide, ci regala prima i Monti Ernici, poi sulla seconda linea dell’orizzonte il massiccio della Majella innevato. La traccia lambisce volutamente, senza mai attraversarli, i paesi di Ceprano (dove è anche possibile partire col treno accorciando il percorso), Falvaterra e San Giovanni Incarico: rimane però sempre solitaria e naturale, accavallando il proprio tragitto con quello del fiume Sacco.
Il fondo stradale è sconnesso, ma quasi sempre asfaltato. Man mano che maciniamo i chilometri, la strada prende sempre più i contorni di una pedemontana, e il complesso degli Aurunci si fa strada sempre più vicino al nostro fluttuante nastro grigetto. Iniziano i primi saliscendi impietosi, sempre brevi e sempre intensi: niente scalate epiche, ma uno scalpiccicìo continuo e logorante sulla volontà delle nostre gambe. Iniziano a comparire le prime forme aguzze e prospettive degne di Bosch o Gaudì.
Passiamo dal basso il borgo di Sant’Oliva, dove è attivo un singolare museo del tabacco; ci apprestiamo quindi a visitare Esperia, suggestivo con l’eredità pesante della Storia sulle spalle. Se pedalate da queste parti, ricordate di essere quanto più possibile autosufficienti: gli esercizi commerciali, i bar e i ristoranti sono pochissimi, nel weekend per lo più chiusi o al completo. Le fonti d’acqua sono invece abbastanza frequenti.
Dopo Esperia, il percorso pedemontano già molto bello si accresce in fascino: circumnavighiamo a mezza costa il monte Fammera (1168 m), e passiamo in discesa i ripidi tornanti della bellissima Pineta di Selvacava, una foresta che profuma già di mare e beneficia al tempo stesso del frescore montano. Definita un “mare verde” che ondeggia al vento costiero, è senza dubbio uno dei punti più belli del percorso.
La strada mantiene la sua quota con continui saliscendi, rimanendo a mezza costa, mentre sulla destra le pareti rocciose si fanno sempre più verticali. Passiamo anche Spigno Saturnia, tenendoci rigorosamente lontani dal centro abitato e dalla trafficata statale Cassino – Formia. Un dedalo di strade secondarie, a volte sterrate, a volte bianche, ci porta finalmente in discesa verso il mare. Passiamo lo svincolo di Minturno – Scauri e ci ritroviamo sul corso dell’Appia, a non molta distanza dove sorge ancora oggi quello che fu identificato come il sepolcro di Cicerone, e proprio di fronte all’affascinante Parco di Gianola e Monte di Scauri, dove ancora oggi è possibile ammirare resti romani come la peschiera del I sec. a.C.
Per il ritorno, le stazioni più vicine sono due, Minturno – Scauri e Formia – Gaeta, dove è possibile anche terminare il giro con un’ottima tiella.