Il giro dei Tre Confini: Abruzzo, Lazio e Molise
Un itinerario duro e appagante per gli amanti della salita, che tocca tre regioni in poco più di 180 km, per la precisione quelle dell’omonimo Parco Nazionale (o PNALM). Parliamo di uno dei luoghi del cuore, quella montagna “in minore”, meno perfetta e imponente delle Alpi, ma forse addirittura più vera, di sicuro più rustica. Questo giro ci porta in una serie di strade in larga parte dimenticate dal traffico automobilistico, a volte perfino da chi ci abita, eppure rimane sempre su asfalto, caratteristica questa che lo rende adatto a qualsiasi bici, a patto che i rapporti siano agili. La Bellezza incontaminata di questi luoghi va pagata infatti con molta accumulata, circa 3500 metri in due o tre giorni a seconda di come si voglia dividerla per un weekend fuori porta.
Per questo motivo la partenza ideale dell’itinerario è la stazione di Cassino, meta dell’omonima linea ferroviaria che la collega a Roma, e che quindi la rende facilmente raggiungibile con l’intermodalità. Ci muoviamo lungo la Linea Gustav, che ancora risuona di bombe e Diavoli Verdi, all’ombra della celeberrima Abbazia; per arrivarci, i veri (im)penitenti potranno cimentarsi in un’ulteriore salita, che fu più volte teatro di tappe del Giro all’epoca di Pantani e Scarponi.
Per chi invece non avesse questa energia da sprecare e volesse ammirare questo luogo mistico e storico dal basso, invece, imbocchiamo la traccia dell’ultima tappa del Cammino di San Benedetto lungo strade complanari pedemontane fino a Roccasecca, per poi godersi lo spettacolo delle Gole del Melfa: questa strada gode della chiusura al traffico da decenni, ed è diventato un paradiso per cicloturisti locali e non, che offre lo spettacolo di un canyon naturale sovrastato da una strada in leggera, impercettibile salita a zig zag.
A questo punto ci troviamo in Val di Comino, uno degli esempi di campagna del basso Lazio meglio conservati, dove il Tempo sembra essersi distratto un attimo per passare oltre. Siamo nei luoghi in cui l’invasione dei tedeschi e le incursioni degli Alleati causarono uno strappo nella memoria collettiva, e anche nei luoghi in cui il confine tra Papato e Borboni si avverte con maggiore confusione: di fronte a noi, l’Appennino e l’Abruzzo.
La salita di Forca d’Acero è lunga e implacabile: siamo varcando una delle porte del Parco, e come già anticipato il pedaggio nella Valle del Sangro costa molto sudore. Nei 25km di tornanti che ci portano ai 1500 metri del valico il paesaggio si fa panoramico, gli alberi si allungano e si fanno robusti per sopportare le nevicate. Alla fine, l’imponente, monumentale faggeta ci annuncia la cima, in un tripudio di colori – non importa la stagione, è comunque un tripudio! – che rendono questa strada una delle più belle del Centro Italia.
Sorpassato il primo, grande ostacolo siamo in Abruzzo: scendiamo nella Valle del Sangro dove ci accoglie per primo il borgo di Opi, addossato su una ripida altura, per poi seguire il fiume già sacro ai Sanniti fino a Villetta Barrea. I paesi che affacciano sull’omonimo lago – Villetta, Civitella Alfedena, Barrea – sembrano avvolti da un alone fiabesco, di un tempo eterno in cui l’uomo era solo un altro animale, di un’illusione di convivenza con cervi, lupi e orsi e cinghiali.
Lo strettissimo legale col territorio delle comunità residenti è tangibile, sebbene non sempre condiviso – accanto all’estremo rispetto della maggior parte degli abitanti, sono anche tristemente noti fatti di scarso rispetto, se non proprio di violenza, ai danni degli animali residenti nel Parco. Se vogliamo dividere il giro in due giorni, questi paesi sono senza dubbio un ottimo luogo per fermarsi a riposare, dato che hanno una certa capacità ricettiva di hotel, affittacamere e campeggi (in particolare, il Camping Wolf e Le Quite sono totalmente immersi nella natura, e non è raro incontrare cervi liberi tra le tende!).
Usciamo con una certa riluttanza dalla Valle del Sangro costeggiando le coste azzurre del lago di Barrea, fino all’omonimo borgo, annoverato tra i più belli d’Italia: qui ci attende un secondo scavallo, con una salita decisamente più leggera della prima, che con il corrispettivo in discesa ci porta ad Alfedena.
La cifra stilistica dei paesini abruzzesi è inconfondibile: case semplici, bianche, con l’immancabile arcata di granito sui portoni, una piazza e una chiesa col lastricato a sassi grezzi; ma ciascuno conserva un proprio sapore unico, e il passaggio da Barrea ad Alfedena lo dimostra. Siamo ora nella piana di Castel di Sangro, all’estremo confine sud della regione, e invece di seguire il corso del fiume lo abbandoniamo per girare a destra.
L’Abruzzo si vendica dell’abbandono con la terza e ultima salita: lasciamo il Sangro, incontriamo il Volturno. Questo fiume che incontriamo adolescente e impetuoso tra i monti molisani dà il nome a un percorso cicloturistico poco noto e valorizzato.
È proprio dai Monti della Meta, complesso orografico che separa le due regioni, che passa la Ciclovia del Volturno, un insieme di strade sterrate o a bassa percorrenza che ci porta fino in Campania, là dove il fiume si concede al suo eterno abbraccio al Tirreno. Molti (sparuti!) centri abitati della zona rimarcano quello che si può quasi intendere un senso di appartenenza, di identità al Volturno: Rocchetta, Cerro e così via fino al quel Castel tagliato in due dalla Domiziana nel suo corso tra Roma e Napoli.
I boschi tutto attorno sono d’un verde prepotente, le strade in continuo saliscendi pressoché deserte. Anche il passaggio nei borghi di poche anime come Castel San Vincenzo o Scapoli è affascinante e surreale: gruppi di anziani vestiti di nero bevono la loro pensione al bar, mentre la presenza femminile nel paese è assente, forse per tenere fede al toponimo. All’improvviso, dopo una curva appare il lago di Castel San Vincenzo: il colore celeste delle sue acque è quasi un’epifania che spezza la sequenza bosco-roccia-tornante-bosco. Questa porzione di Molise è un’intensa full immersion nel Nulla, dando per buona l’accezione di nulla come luogo non abitato dall’essere umano. In questo stupendo Nulla ci ho trovato infiniti Tutti fatti di foreste e forme alte ma rassicuranti, dei saliscendi impegnativi ma gratificanti e paesi autentici dove il cambio lira-euro pare non essere arrivato.
Chiudiamo l’anello in discesa, rientrando nel Lazio con i paesi di San Biagio Saracinisco e Atina, patria del fagiolo cannellino, per concludere al punto di partenza.