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Il GSA / GRAB: dal Grande Sentiero Anulare al Grande Raccordo Anulare delle Bici

Partenza
Roma Colosseo
Arrivo
Roma Colosseo
File gpx
Chilometraggio
46 Km
Dislivello in ascesa
280 Mt
Paesaggio
Regione
Le mie bici

Quella del GRAB è una storia lunga e strana. Il Grande Raccordo Anulare delle Bici, la ciclovia in salsa romanesca che consente di esplorare l’immensa e stratificata varietà del tessuto urbanistico capitolino, la Grande Promesso del Turismo Sostenibile più volte annunciato, sbandierato, finanziato, procrastinato e di nuovo annunciato, ha luci e ombre. Per cui, assieme alla descrizione percorso, alla narrazione che porti l'(in)cauto pedalatore alla scoperta del verde suburbano, tra fasti del passato e graffiti del presente, è opportuno ricostruire la sua storia.

In principio era il GSA. Il Grande Sentiero Anulare, come dice il nome stesso, nasce nel 2006 come traccia ideata dal basso, sinuosa e impertinente tra gli sterrati delle periferie e le grandi ville urbane del centro. L’interno del suo ideatore originario, Marco Pierfranceschi, è quello di cucire assieme le maggiori aree verdi di interesse archeologico, storico e paesaggistico di Roma in un anello accessibile a tutti: poco più di 40 km di strade sicure, parchi, piste ciclabili esistenti, un altro modo di vedere la città, un percorso esperienziale che si accontenta di dove può passare una bici, in altre parole un’infrastruttura leggera e soprattutto partecipata sul modello wiki. In questi primi anni, il GSA è una traccia aperta a varianti di chiunque voglia dare un contributo, creando così un esempio di anarchia virtuosa applicata al cicloattivismo: riprendersi gli spazi urbani tramite le due ruote diventa una sorta di lavoro corale di esperienze collettive, e il Grande Sentiero Anulare diventa un enorme terreno di gioco su cui sperimentarlo.

Il GSA ha iniziato a camminare da solo, e nel frattempo è già stato diluito tanto nel significato quanto nella fonetica, diventando GRAC (C sta per Ciclabilità). Viene costituita una realtà apposita per lavorarci sopra, VeloLove. Nel giro di poco tempo arriva l’allora ministro Delrio, si innamora del progetto, annuncia in pompa magna il suo intento di realizzare l’opera quanto prima. È il 2016. Arrivano i primi annunci di finanziamenti, arrivano i dollari. Il budget dell’infrastruttura, inizialmente pensata come “leggera”, un ricamo tra le pieghe che l’asfalto avido ha dimenticato dentro di sé, lievita: i 2,6 milioni di euro del 2016 crescono anno dopo anno, legislatura dopo legislatura, fino ai quasi 15 attuali, di un’opera che dopo otto anni non ha ancora visto la luce, se non fosse per una segnaletica dimessa a base di adesivi e dei tragitti effettivamente esistenti e percorribili. Dai sentieri sterrati nei parchi delle origini si parla di colate di cemento, grandi opere di riqualificazione, tour operator per portare gli americani in sicurezza. E il futuro è ancora in fieri. La storia dettagliata (ma aggiornata al 2016) di questa ciclovia dalla gestazione difficile è ben ricostruita in questo articolo su Bikeitalia.

Il punto di partenza iconico del GSA/GRAB è un’arena troppo cresciuta che poggia su un ex pantano: si dice che se crolla, crolla pure Roma. Dalle arcate imponenti dell’Anfiteatro Flavio ci muoviamo tra la Roma imperiale, quella repubblicana e quella mitologica delle origini: lasciandoci infatti il Colosseo alle spalle su via di San Gregorio, che sarà il primo tratto urbano privo di ciclabili a essere messo presto in sicurezza, costeggiamo il Colle Palatino lungo quello che era il perimetro del pomerio, ovvero il solco dell’aratro tracciato da Romolo quando fondò la città – lo stesso in cui secondo la leggenda lo stesso uccise Remo.

Sempre avvolti dalla Storia con la esse maiuscola, superiamo quella che un tempo era Porta Capena, dove due colonne sommerse dai ruggiti del traffico simboleggiano l’originario inizio dell’Appia Antica, la Regina Viarum. Quelle finali le ritroviamo a più di 600 km a sud, al porto di Brindisi. Come un carosello decadente e magnifico, ecco che a destra della pista ciclabile appaiono le Terme di Caracalla, e poi via di Porta San Sebastiano, con le sue ville e sepolcri oltraggiati dal transito degli automezzi sui sanpietrini mentre il basolato affiora in cerca della propria dignità. SIamo ancora a pochi passi dal centro di Roma, eppure già l’aria di campagna si addensa fitta e umida in questa spina verde che penetra fin qui dal profondo delle periferie sud-est.

Arco di Druso, Porta di San Sebastiano, le Mura Aureliane: il confine profano e quello ecclesiastico dell’Urbe si guardano a pochi metri l’uno dall’altro, o meglio l’uno in sostituzione dell’altro. Nel Museo delle Mura, che tra l’altro è gratuito, viene narrata la storia della difesa di Roma, e di come quella cinta difensiva che oggi delimita il centro storico fu il segno della decadenza dell’Impero e della necessità di proteggere ciò che era prima inattaccabile.

Parco della Caffarella: un ibrido tra un museo a cielo aperto, una porzione di agro romano scampato al cemento degli Anni Sessanta con tanto di pecore al pascolo, e un enorme parco pubblico. Il fatto che questa perla sia diventata la location delle pasquette romanesche e che vengano grigliate braciole all’ombra dei colombari di epoca augustea la dice lunga. Procediamo qui su sterrati lungo il fiume Almone, fiume sacro ai romani e meno sacro ai fascisti, che lo interrarono durante il Ventennio per costruire la Colombo, tralasciando per un attimo la romanità degli antenati e il culto del dio Redicolo per coprirsi di ridicolo. In questo tratto il GSA segue il corso della Francigena del sud, che viene sporadicamente segnalata con cartelli del CAI.

Un breve tratto promiscuo su via dell’Almone e ci ritroviamo nel quartiere di Tor Fiscale, che prende il nome dall’omonima Torre di epoca medievale, addossata agli acquedotti Claudio e Felice. Se n’è andato neanche un quarto del percorso, e il centro maestoso ha prima ceduto il passo allo splendore campestre dell’Appia, e ora si prepara ancora a cambiare veste. Attraversata la via Tuscolana dal sottopasso dei Quintili, infatti, ci ritroviamo nell’ex borgata del Quadraro, un tempo quartiere operaio e luogo della Resistenza Partigiana durante l’occupazione tedesca; qui una serie di opere di street art del progetto MURO sfila ai lati della strada.

Le vestigia della Roma antica, la storia recente della sua periferia e gli abusivismi edilizi del Dopoguerra ricordano inevitabilmente i versi di Pasolini:

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.

Siamo ormai nel pieno delle vivaci periferie del quadrante est: tra strade secondarie e tratti di ciclabile passiamo prima per Villa de Sanctis, poi per Villa Gordiani, che sfodera con disinvoltura altri tesori archeologici. Risaliamo ancora lungo la direttrice di viale Togliatti, dove una delle piste ciclabili più datate dell’Urbe ci porta nei pressi di Ponte Mammolo, là dove il fiume Aniene incontra l’inizio della città. A questo punto il GSA cambia ancora scenario, e dopo aver superato in sicurezza lo svincolo della Tiburtina ci porta in una realtà sospesa tra canneti e fiume, costeggiando l’Aniene prima su sterrato, poi sulla ciclabile che da Ponte Nomentano porta fino a Villa Ada. Le tinte color mattone dei ruderi imperiali sembra un lontano ricordo mentre ci immergiamo in un paesaggio selvatico e suburbano.

Attraversiamo l’affascinante cornice di Villa Ada e il suo laghetto, e poi l’elegante Villa Borghese, i due maggiori parchi cittadini dopo Villa Pamphili, che trovandosi nel quadrante ovest non è collegata al nostro anello. Il percorso si chiude nel più scenografico dei modi, sulla pista ciclabile che corre lungo la banchina del biondo Tevere, per poi ricongiungersi al centro storico all’altezza di Castel Sant’Angelo.

Foto