La riserva di Decima Malafede
Un giro ad anello per MTB senza l’ausilio del trasporto bici in treno, che si compiace di esplorare quel quadrante sud delle periferie della Capitale solitamente derubricato come Terra di Nessuno. A pochi chilometri dal celebre “polmone verde” del Parco dell’Appia Antica, per cui passano più note ciclovie come la Via Francigena del Sud o il tracciato dell’Eurovelo7, esiste infatti una vasta riserva di verde selvatico meno conosciuta, quella di Decima Malafede.
Il fascino di queste campagne rimaste incastrate tra le pieghe dell’espansionismo urbanistico della Capitale è ruvido, ibrido: casolari e fattorie in un paesaggio collinare, con lo sfondo delle palazzine intensive di Laurentina. Attenzione, però: il percorso preso in considerazione passa attraverso delle servitù di passaggio con cancelli che a volte rimangono chiusi, per cui la nobile arte del sollevismo, ovvero la pratica di passarsi le bici sopra un ostacolo, si rivela quanto mai necessaria.
Il nostro itinerario si snoda nelle periferie sud guadagnando un’uscita sicura dalla barriera del Raccordo, senza incontrare rampe o svincoli pericolosi. Percorriamo quindi la Dorsale Tevere in direzione Magliana, lasciando la pista ciclabile all’altezza del Fosso di Vallerano, dove un ponte romano del II secolo a.C. giace semisepolto da un viadotto di cemento. Seguendo la traccia, qualche decina di metri di single track sterrato e un sottopassaggio ci portano dall’altro lato della ferrovia Roma-Lido, sbucando nel quartiere del Torrino. Ci muoviamo nel tessuto urbano della periferia, tra viale dell’Oceano Indiano e altri passaggi sterrati lungo il Fosso di Vallerano, guadagnando così il superamento della seconda, grande barriera architettonica, quella del Raccordo. Siamo ancora in uno scenario suburbano fatto ora di grattacieli degli Anni ’70, ora di villette a schiera, alternati a improvvisi spazi verdi e marrane.
Si passa poi Mostacciano, quartiere residenziale a basso tasso di traffico, e si scavalla anche la Pontina all’altezza di Mezzocammino: finalmente un lungo rettilineo sterrato si apre alla nostra sinistra, via Valle di Perna. Si tratta del nostro ingresso alla Riserva di Decima Malafede. Il paesaggio cambia radicalmente in poche centinaia di metri: attorno a noi si dipanano campi verdi o coltivazioni, di quelli che ti chiedi dove fossero fino a un attimo prima.
Oltrepassiamo poi la cooperativa Agricoltura Nuova, utile ai palati famelici e poco inclini a macinare chilometri. Da qui in poi la riserva dà il meglio di sé, con saliscendi improvvisi su ampi stradoni sterrati e scavate dalle acque piovane. Siamo a due passi dal GRA, eppure Roma sembra un lontano ricordo. Passiamo fossati e zone umide, selve e praterie, arrivando a lambire il centro abitato di Trigoria e i campi sportivi dell’AS Roma.
Proseguiamo su continui, microscopici ma inesorabili saliscendi (l’anello completo accumula 800 metri di ascesa frammentata in mille strappetti) fino a trovarci davanti uno scenario inaspettato e surreale: il Lago degli Innamorati. Un nome del genere presupporrebbe un luogo idilliaco popolato da unicorni, ma la realtà che si srotola al nostro cospetto rivela un immaginario ancor più potente, sebbene meno romanzato. Un lago rosso sanguigno, carico di residui ferrosi, dai dirupi scoscesi e dalle sponde mangiate, su cui si affacciano ruderi medievali dimenticati nelle forre calcaree. Il posto ideale per un occultamento di cadavere, eppure carico di proprie energie sinistre e affascinanti al tempo stesso. I copertoni sfrigolano tra rampette sterrate e solforate – non solfatare, attenzione! La Solforata di Pomezia è una delle emergenze geologiche più curiose della Riserva di Decima Malafede, e vanta un passato denso di mitologia proprio a causa delle emissioni sulfuree che hanno legato la sua storia a quella dei culti delle divinità degli Inferi.
Usciti su via della Solfarata, ci tocca tornare su asfalto e imboccare un tratto della brutta via Ardeatina per chiudere l’anello: riusciamo presto ad abbandonare il suo corso trafficato svoltando a destra su via della Marrana di Santa Fresca, dove nuovi sterrati pecorosi ci riportano sull’Appia antica, a completare il percorso nel più monumentale dei modi.