La scalata del Gennargentu da Macomer
Un percorso di quelli che entrano dentro e ci restano per vari giorni, sotto forma di acido lattico o bruciature sulla pelle. Impuntarsi sulla ricerca del punto più alto su asfalto dell’isola sarda porta con sé una serie di difficoltà, cognitive e immaginifiche prima ancora che logistiche: innanzitutto, stabilire quale sia la strada con la quota più elevata. La maggior parte dei risultati su Google lo identifica con il Passo Correboi, che detiene però il primato di valico aperto su entrambi i versanti, mentre la ricerca della strada asfaltata cieca richiede uno studio più attento delle mappe.
Il massiccio del Gennargentu, come è noto, costituisce il maggiore gruppo montuoso dell’isola; sì, ma fin dove si può arrivare in bici da corsa, con quei copertoncini fini fini e quel telaio così fragile e leggero? La Sardegna è una terra ispida, che si presta più a ruote grasse in grado di accogliere tutti quegli spigoli pietrosi. Ho quindi identificato la strada più appetitosa in quella che da Fonni porta al Rifugio Bruncu Spina, a poco più di 1500 metri sul livello del mare. Una località sciistica selvaggia e aspra, fatta di alture ampie e poco ombrose, la cui strada asfaltata termina in un anonimo parcheggio dal quale parte la funivia per il rifugio, e vari sentieri escursionistici.
La seconda difficoltà è stata poi quella di conciliare questo traguardo con il tempo a disposizione di una singola giornata dalla mattina a sera, con la logistica dei trasporti su ferro sardi e tutto ciò che ne consegue: dagli orari di passaggio dei treni, alla base di partenza (nel mio caso, Olbia), fino alla geomorfologia dell’isola che sembra proteggere in maniera pervicace le sue cime più alte con una serie di colline, colli e monti. Il risultato è che una serie di “ondate” altimetriche separa la ferrovia più vicina alle cime, in un logorante saliscendi di pendenze brutte.
La prima parte, quella di “avvicinamento”, va affrontata a piè veloce tra sterminate desolazioni nuragiche e nugoli di pecorume abbaiante. Le vaste praterie attorno a Macomer ci avvolgono in una dimensione senza tempo, fatta di nuraghi improvvisi e orizzonti a perdita d’occhio, mentre le sagome del Gennargentu si avvicinano al nostro sguardo.
Scorrono nomi di paesi dal sapore ancestrale, in cui gli ingressi sono scanditi da monumenti di maschere mediterranee e mamuthones: suoni aspri ma sempre musicali, a volte minacciosi, sempre intensi. Ottana, Olzai, Ollolai. Suoni che scandiscono il ritmo millenario delle stagioni in un eterno presente contadino, suoni per orecchie sempre tese al ritmo lento di una natura che concede poco. Nel frattempo iniziano i dislivelli: Olzai è un paesino di pietre bianche solcato da un torrente, in cui l’aria di montagna già si fa sentire. Nei bar, l’italiano è un optional da code switching, al quale si passa malvolentieri per servire il ciclista forestiero, per poi tornare a familiari e usate chiacchiere tra il bancone e i tavolini ormai segnati dalle impronte degli astanti di sempre. Da queste parti, il duemila e l’euro sono arrivati solo nominalmente, e ancora troneggiano lavagne adesive coi prezzi in lire delle birre nazionali ed estere o le caramelle Charms.
Usciti da Olzai, prendiamo una strada cementata che è una sorta di punizione divina per scontare chissà quali colpe primigenie: la strada si inerpica con pendenze proibitive che costringerebbero anche il Contador più incallito a salire in piedi sui pedali. Ollolai scandisce la fine di questo strappo improbo: strade per lo più deserte incorniciano edifici sparuti. Il silenzio è rotto soltanto da un bar all’angolo, e dai pochi astanti che bevono il loro pomeriggio.
Qualche chilometro di discesa tortuosa e attraversiamo la bella Gavoi: sembra di stare in un paesino dell’entroterra còrso, e subito dopo iniziamo a costeggiare le acque cerulee del lago di Gusana.
Allo svincolo in prossimità del ponte che lo attraversa, inizia la salita per Fonni: uno dei pochi centri sciistici e località turistica montana di grande fascino, Fonni ama nascondersi dietro una serie di tornanti leggeri mentre prepara le delizie culinarie per le quali è famosa. Una tradizione di terra, fatta di funghi e formaggi, piena e imponente. Dopo lo strappo per Ollolai, la salita ora è graduale e accessibile, soltanto lunga. Il paese merita senz’altro una pausa, a patto di rimanere dentro i tempi prestabiliti. Da qui la salita prosegue verso il rifugio Bruncu Spina, il punto asfaltato più alto della regione. La vegetazione si dirada man mano che saliamo, formando un rapporto di inversa proporzionalità con il vento. Meno piante, più vento. Le sagome del Gennargentu che prima ci vedevamo davanti ora ci circondano, e non ci siamo neanche resi conto quando è successo: tutto attorno, stazzi di pecore e rocce seghettate. È il massimo del montano che la Sardegna ci sa offrire.
Il rientro è tutt’altro che breve: non basta certo la discesa a lasciarsi alle spalle lo sforzo. Se vogliamo riguadagnare una stazione della linea ferroviaria, una volta tornati al lago di Gusana ci attendono vari saliscendi ispidi e brutali. A meno di non voler rifare la stessa strada a ritroso per Ollolai, Olzai e Ottana, ci attende un percorso bellissimo ma impegnativo, specie per chi ha già tutto quel dislivello nelle gambe, in direzione di Ovodda prima e Tìana poi. Attraversiamo zone totalmente incontaminate, e una serie di strappi brevi ma violenti, di quelli che ci fanno passare la voglia di pianificare giri lunghi e duri. Se da una parte il paesaggio è stupendo e il traffico inesistente, la Sardegna in queste zone sfodera il meglio del suo astio per il ciclista, lavorandolo ai lati e poi fiaccandolo progressivamente.
La strada dopo Tìana, in particolare, è la tipica mazzata finale di fisici già provati: un’erta arida e boscosa accanto al Riu Tiricco, ripida e implacabile, che prima di rilassarsi adagiandosi a mezza costa si concede tre o quattro tornanti maligni. Bellissima, ma non dopo 120 km di altri saliscendi simili. Ci muoviamo tra altri aggrottamenti del territorio, ai piedi del Monte Olisezzo, attraverso verdi distese di Nulla, fino all’arrivo a Nughedu Santa Vittoria: siamo ormai al km 143 della traccia, e si intravede la luce in fondo al tunnel – e la civiltà. Da qui ci attende la panoramica discesa verso Sorradile, nei pressi di Bidonì e il lago Omodeo. A proposito, da queste parti vale una pena una deviazione e visita da Veghu, piccola azienda che produce formaggi vegani in stile sardo – iniziativa più che coraggiosa, considerando il conservatorismo isolano nei confronti della tradizione casearia. E i risultati sono davvero sorprendenti.
Un ultimo sforzo, ma ormai è davvero poca cosa: lo strappetto per Ghilarza è quasi dolce, rispetto a quanto si è affrontato nel resto del percorso, e permette di tornare alla linea ferroviaria e alla sua stazione più vicina, Abbasanta, il cui bar pullula di avventori dediti al culto dell’Ichnusa.