La scalata del Monte Autore [MTB]
IL TETTO DEI SIMBRUINI
Coi suoi 1853m sul livello del mare, il Monte Autore costituisce la terza cima dei Monti Simbruini e la prima della provincia di Roma, pur trovandosi a un passo dal confine abruzzese. I sentieri che lo percorrono sono tanti e affascinanti, tutti adatti a un livello medio-facile di mtb (si tratta perlopiù di stradoni sterrati ben segnalati, nessun salto o discesa tecnica).
L’unico handicap logistico è la lontananza di qualsiasi stazione ferroviaria: la più vicina è quella di Carsoli, così per questioni di tempo abbiamo – malvolentieri, beninteso – ripiegare sul trasporto in macchina per iniziare a pedalare già in quota, da Campaegli, frazione del bel borgo di Cervara di Roma. I volenterosi e gli amanti delle salite potranno però aggiungere il muro altimetrico utilizzando il treno e aggiungendo una ventina di km di salita (e altrettanti di discesa), con Carsoli come punto di partenza e ritorno.
Il prezzo è il sudore, la ricompensa per la quota è il silenzio e la pace immensa dei boschi di castagni e del vento che sa di neve anche d’estate. Da Campaegli ci avviamo immediatamente per un tratturo sassoso in falsopiano, che taglia un’ampia vallata con andatura incerta. Sparsi e indolenti, bovini al pascolo.
La strada si addentra poi per delle macchie boscose: il loro colore è stagionale, in ogni caso vivificante. Nero su bianco d’inverno, marrone su rosso d’autunno e primavera, verde su verde d’estate. Seguiamo agevolmente la nostra traccia gps aiutati anche dalla sempre presente segnaletica CAI: ci sono varie possibilità di anelli anche sopra Livata, ma dopo una pausa all’unica locanda-ristorante (menzione speciale per i panini scamorza, salsiccia e tartufi) giriamo a sinistra e affrontiamo i primi veri dislivelli.
Questo ristoro tra Livata, all’altezza dell’intersezione tra l’anello e la strada che porta in cima nel nostro percorso, costituisce l’unico posto in cui prendere acqua, per cui è opportuno regolarsi di conseguenza, come ogni volta che si va in montagna.
La strada regala vallate improvvise e tratti nella vegetazione folta, nella quale resistono sporadiche sacche di neve anche in primavera. L’ultimo chilometro verso la cima è un single-track in bilico sul costone di una ripida vallata, che dischiude lo splendido panorama simbruino, dai monti in lontananza a quelli in Vicinanza.
Ci troviamo a poche vallate di distanza da Vallepietra, set di alcune scene del film “Lo chiamavano trinità” con Bud Spencer e Terence Hill. Il sentiero per arrivarci, più lungo, è comunque indicato dalla rete CAI.
Superato l’ultimo ostacolo e le vertigini da orrido, ci troviamo in vetta: uno spazio rado, brullo, sassoso, dove il vento sferza senza pietà un cumulo di pietre bianche che indica la cima. Tutto intorno, cielo e nuvole.
Esistono due sentieri per la vetta, ma noi per ragioni di tempo abbiamo preferito tornare sui nostri passi e poi sulla strada asfaltata verso Livata.
Dopo la vertiginosa discesa, il sentiero per tornare a Campaegli è una mulattiera sconnessa e sassosa che offre ulteriori, inaspettati passaggi sul versante laziale e sul bel castello di Carsoli, che dopo qualche km di falsopiano piuttosto impegnativo riconduce a Campaegli. A questo punto, se siete venuti in treno e avete pagato pegno per arrivare qui da Carsoli, avrete la meritata ricompensa di 20 km di discesa monumentale, violenta, solenne.