La scalata del Vesuvio
difficoltà: IMPEGNATIVO
distanza: 52 km
superficie: strada provinciale asfaltata, pietre laviche, vetri sparsi [MTB consigliata]
dislivello: 1084 m
inizio: Stazione di Napoli Centrale
fine: Stazione di Napoli Centrale
traccia gpx: scarica
SULLA BOCCA DEL VULCANO
Visto che ogni pedalata deve avere un senso, un valore simbolico, una componente romantica e romanzata, nel palmares delle uscite non può mancare la scalata di un vulcano. Sapere che la terra sulla quale ci si arrampica è cava e sotto di noi ribolle e freme equivale a essere consapevoli che la montagna è viva, ci chiama e ci sfida. Panteismo ciclistico con una componente pagano-mitologica. Ma tant’è.
Si tratta di un giro duro e brutto, fatto di strade trafficate e di pendenze proibitive, in cui tale componente “mistica” ha un ruolo determinante – se siete prosaici in cerca di un allenamento qualsiasi, non scegliete questo itinerario, metterà soltanto alla prova i vostri nervi.
Nel corso delle due volte in cui è stato testato (una sola per intero), la strada ha preteso l’ingrato tributo di ben 6 forature, vuoi per la quantità di vetri e detriti vari sul tratto Napoli-Portici, vuoi per le aspre pietre laviche, vuoi per quel lato ancestrale del Vulcano che ride della velleità umana e della sua piccolezza.
E in effetti un buon 40% della difficoltà di questo itinerario è costituito dal raggiungimento dell’inizio della salita dalla stazione di Napoli Centrale: dopo levataccia all’alba e 3 ore di regionale, tocca sfidare il traffico partenopeo dei centri abitati a sud della città, in cui vige un’allegra anarchia. L’effetto per il ciclista è straniante, quasi psichedelico: ognuno segue una sua rotta che sembra non interferire per istinto innato, e il clackson è qui usato con un differente intento antropologico rispetto alla Capitale: se a Roma infatti il significato della strombazzata è di prevaricazione, dimostrazione di potenza con una certa dose di rabbia, qui a Napoli diventa un saluto, una serena accettazione dello stato delle cose, una parte ineluttabile del vissuto. Ma tant’è.
Giunti ad Ercolano dopo i vari slalom, proprio all’altezza dell’ingresso degli scavi giriamo a sinistra: da qui in poi inizia ufficialmente la salita.
Il vulcano ci guarda e sogghigna. Vi inghiottirò e risputerò, pare dire.
Ci si avvicina per stradine secondarie dalle prospettive escheriane, in cui dietro una curva di una carreggiata e mezza c’è un pullmann di tre carreggiate e mezzo che sfida ogni legge della fisica.
Finalmente il percorso prende un corso unitario e cede un minimo di frammentazione.
Si sale con pendenza sempre più ingrata nel folto del bosco costiero. Tra ginestre e prostitute, risaliamo tornanti dai quali ogni tanto si intravede il Golfo di Napoli in tutta la sua bellezza struggente. Qua e là, resti di preservativi usati e annunci zozzi sui muri.
Il Vulcano continua a guardare la lenta ascesa, e sogghignare. Non ce la farete mai, stupidi insignificanti umani, pare dire.
La terra perde colore, o meglio ne acquista uno che è quello di Satana in persona, si fa zolfo e arrossisce. La vegetazione cede man mano il passo, e con la salita scompaiono gradualmente i vari alberi: castagno, quercia, pino marittimo sono tra i primi a tenersi lontani dal cratere. I più intrepidi sono i piccoli arbusti, qualche olivo e il corbezzolo.
A un paio di tornanti dalla cima, un chiosco con le arance più buone del mondo – tagliate e spremute sul momento – ci avverte che manca qualche centinaio di metri: se si vuole vedere il cratere, è mooolto meglio acquistare qui il biglietto (10€), specie per evitare di tornare giù a farlo dopo la scalata (ai varchi non è possibile comprarlo).
Il Monte Somma è ciò che resta di un accesso di rabbia primitiva del Vulcano: un cono sorto al’interno di un cono precedente, divelto da un’esplosione lavica. Un cratere enorme che si percorre in una mezz’ora a piedi (le bici purtroppo non sono ammesse), a più di mille metri sul livello del mare, che pure è lì a due passi baciato dal sole.
Se la salita è stata implacabile, la discesa è una sinfonia di freni incandescenti. Occorre prestare estrema attenzione alle curve cieche, e soprattutto a non farsi distrarre dall’imponenza decadente del paesaggio. Le uniche pause ammesse sono quelle ai chioschi di ortofrutta, che vendono aglio così potente da essere in grado di scacciare pure Amelia, o pomodori e limoni ipertrofici.