La traversata dei Monti Simbruini, da Tagliacozzo ad Anagni
Un giro da fare in autunno, quando il foliage dei Monti Simbruini dischiude tutto il suo fascino di colori accesi e le temperature sono fresche ma non ancora proibitive. Un tour da bici da strada o turismo, in ogni caso decisamente impegnativo, un centinaio di chilometri per 2500 metri di dislivello, destinato a cicloamatori di un certo allenamento.
La salita è però parte integrante del fascino della pedalata, una sorta di biglietto d’ingresso per l’Appennino.
Sfruttando la rete ferroviaria regionale con trasporto bici (3,50€ per il supplemento giornaliero su tutti i treni regionali), possiamo partire da Roma Tiburtina per scendere alla stazione di Tagliacozzo, località sciistica subito dopo il confine abruzzese che ha il pregio di farci partire già da quota 740 m.
Ma la salita sta lì in ogni caso, e appena lasciato il paese ci accoglie coi suoi tornanti verso Capistrello: saliamo gradualmente seguendo il verso orizzontale della prima vallata dei Monti Simbruini, quella che negli anni Settanta e Ottanta è stata colonia del turismo invernale romano. Oggi di questo turismo da Cortina d’Ampezzo in salsa cacio e pepe è rimasto qualche residence semi-abbandonato, dei maneggi e qualche toponimo un po’ grottesco come “Piccola Svizzera”. Ma i boschi sono rimasti – del resto erano lì da molto prima – e le stagioni li sfogliano come un libro donando loro gli stessi irripetibili colori.
Giungiamo così a Capistrello, borgo letteralmente tagliato in due dalla SP23, strada provinciale dove passa una macchina ogni mezz’ora.
Dopo una meritata pausa in paese (per i 20 km successivi non c’è nessuna traccia umana a parte la striscia di asfalto e qualche cartello), ci godiamo una breve e ripida discesa e una fonte d’acqua montana dove riempire le borracce.
E fino ad ora abbiamo scherzato: da qui inizia la scalata vera e propria, 25 km di tornanti e scorci panoramici che si inerpicano nel cuore del Parco Regionale dei Monti Simbruini. Man mano che prendiamo quota, i castagni cedono il passo ai lecci, i lecci ai faggi, e ognuno regala una tonalità di giallo, arancio o rosso differente. Questo tratto di strada, oltre a superare quota 1600 m, ha l’enorme pregio di essere chiuso da tempo immemore a causa di frane che hanno ristretto la carreggiata: detto così sembra paradossale, ma a volte la lentezza delle istituzioni nel rendere agibili le strade alle automobili le lasciano (involontariamente) a disposizione delle biciclette, come è accaduto anche nel caso del Tracciolino di Roccasecca.
Malgrado questa sembri interminabile, come ogni salita ha un fine: il cartello che segna il ritorno nel Lazio dall’Abruzzo è proprio sul valico, i boschi e le radure inondano ogni cosa di pace e silenzio, prima che il vento della discesa ci fischi nelle orecchie.
Scendiamo quindi a piombo fino a Filettino, primo insediamento umano dopo chilometri di Natura, e dopo innumerevoli metri di quota persi arriviamo dall’alto fino a Piglio: i Monti Simbruini hanno ceduto il passo ai Prenestini, e non ci resta che rilassare le braccia allentando un po’ la tensione dei freni, ci attendono gli ultimi km di pianura fino al meraviglioso borgo papale di Anagni (e al ritorno in treno da qui a Roma!).