La vecchia ferrovia Monti / Calangianus
Una delle tante greenway, come vengono chiamate per dare loro un tocco esotico e un non so quale appeal turistico, sparse lungo lo stivale; in realtà il nome più casalingo e meno pretenzioso di vecchia ferrovia si addice molto di più a questo itinerario nel cuore della Gallura, che collega i due paesi di Monti e Calangianus lungo quella che doveva essere un’importante tratta ferroviaria per minatori e lavoratori in generale.
Ne 1888, infatti, i circa 30 km che separano i due borghi conobbero infatti questa importante innovazione, quella del vapore, ma il costo del biglietto era appannaggio dei ceti più ricchi, e la linea ferroviaria rimase per lo più una tratta per il trasporto di merci, fino a quando venne gradualmente sostituita con mezzi su gomma nel Secondo Dopoguerra.
Oggi il sedime su cui poggiavano i binari è rimasto regno delle ruote tacchettate, e si snoda in maniera armonica e panoramica su alcuni dei più bei paesaggi dell’entroterra gallurese: formazioni granitiche antiche quanto la Madre Terra, sugherete, querceti e forme montuose dai contorni frastagliati. In mezzo, il Nulla. Il percorso stesso ha le sue piccole interruzioni e ostacoli, e specie il primo tratto in prossimità della vecchia stazione ferroviaria di Monti non è accessibile.
Si può dire che questa serpentina che si inerpica gentilmente – le ferrovie non possono superare la pendenza del 35‰, e questa non supera mai il 25‰ – sia un vero e proprio processo di vinificazione dalla vite al tappo, dalla materia prima all’ultima fase di imbottigliamento. Dai vigneti del celeberrimo Vermentino di Gallura, di cui Monti è patria indiscussa, guadagniamo quota passando per le immense sugherete che rendono famosa Calangianus. Una ferrovia, un itinerario MTB, un percorso esperienziale buono per sbronze da ciclista poco attento alla performance (tra l’altro, a Monti la prima settimana di agosto solitamente si celebra la sagra del Vermentino, un evento psichedelico che vale la pena aggiungere al proprio curriculum).
Il nostro percorso inizia dalla Stazione ferroviaria di Monti, che oggi è uno snodo secondario tra Olbia, Ozieri e Sassari. Un’alta cancellata ci chiude il passo verso la prima, ampia svolta che segna l’inizio vero e proprio del percorso, quindi dobbiamo avviarci per la SP147 verso Telti. Cerchiamo una seconda volta di imboccare il percorso, ma dopo il cancello si trova una proprietà privata di produttori di sughero che preclude fisicamente l’accesso alla ferrovia, quindi la prima svolta utile per iniziare la ciclabile è dopo circa 1,6km sulla destra, dove troviamo anche un pannello informativo. Qui il fondo stradale è erboso e siamo ancora in mezzo a fattorie: un paio di cani da pastore ci si parano davanti, ma sono più spaventati di qualsiasi cinofobo, e anzi decisamente bisognosi di affetto. Nonostante l’abbaio, non c’è nulla da temere. Passiamo nell’ordine vecchie case cantoniere, alcune stazioni ferroviarie diroccate e addirittura delle postazioni militari in disuso. In questi primi km l’andamento è lento e interrotto da due o tre cancellate di filo spinato, che a volte sono facilmente scavalcabili (una è munita addirittura di una rozza scaletta di legno sul muretto a secco sul lato), a volte apribili e richiudibili a mano, per impedire il transito degli animali al pascolo.
Il percorso della vecchia ferrovia, comunque, si snoda in maniera filiforme attorno alla strada, a volte passandola a destra, a volte a sinistra, senza mai allontanarvisi troppo almeno fino al km 11. È bene tenere a mente questa informazione, dato che per ogni inconveniente si può accelerare il percorso tornando su asfalto.
All’altezza dell’incrocio con la SP138, invece, il nostro itinerario subisce due cambiamenti importanti: si allontana decisamente da ogni segno di “civiltà” a motore, e diventa più continua, scorrevole e priva di ostacoli. Ciò si traduce in un aumento esponenziale della bellezza del panorama, che nei km fino a Calangianus regala degli scorci degni di un western di Sergio Leone misti al meglio del meglio dei colori di Ichnusa: le rocce assumono forme piatte, a volte tonde e sfuggenti, a volte nette e violente, quasi a testimonianza di una raffica di vento o di una colata lavica che in quel punto volevano si parlasse di sé un milione di anni dopo. Altre volte, pare che Gaudì sia passato da queste parti, sempre che prima non sia giunta la dinamite a fare strada all’inarrestabile avanzata del Progresso a Rotaie.
La fauna si colora del rosso vivace dei corbezzoli da cogliere e smangiucchiare, del rosso più bruno dei sugheri privati in parte del loro cappotto, a brani tagliati in forme diligenti e nette, mentre tutto intorno è un verde intenso e folto che solo la silhouette dei massicci granitici di Muddetru e Laicheddu, le cui cime più alte superano i 1300 metri di quota. E ancora, lecci, cisti e soprattutto fungaie molto ambite dai cercatori della zona completano l’ambiente naturale, che è molto più ricco di acqua della media regionale, ed è percorso da svariati ruscelli. È inoltre importante ricordare che lungo il tracciato c’è una sola fonte di acqua, al km 20. Il tragitto ora compie ampie volute panoramiche tra le rocce, disegnano selle e valichi che riesce difficile oggi immaginare sede di un passaggio ferroviario.
Le pendenze sono così lievi che quasi non si avvertono. Attorno al km 21 si attraversa di nuovo la provinciale, e si incontra il primo e unico bar-ristoro lungo il percorso: siamo ormai a pochi km da Calangianus e torniamo ad annusare tracce discrete di antropizzazione: a parte i soliti pannelli informativi, qualche recinzione di villa, un affascinante palazzo abbandonato, addirittura degli attrezzi ginnici per fare ginnastica. L’ingresso in paese è gentile e quasi impercettibile: Calangianus sorge a poco più di 500 metri, circondata da alti monti seghettati, ed è la patria del sughero, come ci ricorda anche il museo a esso dedicato. A questo punto per chiudere l’itinerario a ritroso, a meno che non vogliamo pernottare qui, dobbiamo calcolare il doppio dei km a fine giornata, una sessantina: consideriamo però che l’andamento al ritorno è tutto in lieve discesa e molto più rapido.