L’anello MTB Pittulongu-Sa Testa
Un percorso rapido di appena 15km, buono per allenamenti mordi-e-fuggi ricorsivi. Oltre agli scorci paesaggistici di incredibile bellezza, infatti, nella breve distanza di questo anello si concentrano vari segmenti utili a testare le varie abilità su MTB in un percorso tecnico, ma non eccessivamente impegnativo. Se ripetuto più volte, può essere divertente confrontare i tempi di questi segmenti, per analizzare i progressi (o i regressi!) nel tempo.
Una salita decisa su asfalto, una discesa tecnica su fondo misto pietre e sterrato, una porzione di asfalto liscio e pianeggiante, e un single track panoramico a bordo scogliera. Questi quattro momenti scandiscono il nostro fiato nel giro di un’ora o poco meno, a seconda del livello di allenamento e soprattutto di tecnica. La cornice di questo anello è il promontorio “Sa Testa”, penisola collinare che separa Olbia dalla località balneare di Pittulongu; il suo toponimo deriva dalla forma cefalica di questa prominenza che pare rubare al mare un po’ di spazio, o forse nascondere allo sguardo gli scempi della zona industriale di Cala Saccaia. Sa Testa è anche il nome della località archeologica nell’interno del promontorio, che ospita un meraviglioso Pozzo Sacro, utilizzato per i rituali del culto dell’acqua in età nuragica.
Partendo dal lungomare di Pittulongu, percorriamo via Tramontana in direzione della provinciale, per percorrerne qualche centinaio di metri sulla ciclopedonale che le scorre accanto. Da qui la attraversiamo per imboccare via Donnigheddu, e quindi via Giuanne Secche, via Monte Alvu e via Moriscu, un complesso di strade residenziali che si inerpicano su una ripida altura. Questa prima fase di salita è nervosa e raggiunge pendenze impegnative, circa 2km con punte oltre il 12%.
Superato il dislivello, ci attende una divertentissima ma impegnativa discesa che si snoda sopra e poi accanto alla galleria Moriscu, dove passa la Strada Panoramica Olbia. Mentre il traffico a scorrimento veloce è interrato nel tunnel, noi ci districhiamo tra gli ulivi e dei pietroni dagli angoli aguzzi. Affrontare questo tratto presuppone una certa conoscenza delle traiettorie: il fondo, come anticipato, è sterrato con parti sassose, e in molti punti la parte centrale è scavata dall’acqua piovana, che crea dei solchi a volte molto profondi. Per evitare di scendere dalla bici è quindi opportuno scegliere bene dove passare. Passiamo sotto un cavalcavia e poi una breve e ripida rampetta ci porta in zona industriale.
Le zone di Osseddu e poi Cala Saccaia sono probabilmente le meno gradevoli dal punto di vista paesaggistico, ma ci permettono di rilassarci dall’estrema attenzione tenuta finora in discesa, e di allungare il passo su fondo asfaltato e strade pressoché deserte, dato che sono utilizzate quasi esclusivamente da mezzi di lavoro dei cantieri. Dopo aver preso per qualche centinaio di metri viale Italia, sulla quale è al momento in costruzione una pista ciclabile in sede separata, entriamo sempre a velocità sostenuta nella zona di Cala Saccaia, dove ha sede la maggior parte dell’industria navale olbiese. Qui, tra gli enormi magazzini nautici e le gru, sovente capita di incontrare simpatici cani randagi, che avendo a cuore l’allenamento del ciclista e la sua relativa performance, sono sempre lieti di aiutarlo a mantenere una media adeguata spronandolo a fare meglio*.
L’ultimo segmento è senza dubbio il più bello: il single track che disegna il contorno della collina testona è meraviglia pura, e si snoda sinuoso lungo il mare, che in questi luoghi ama riversarsi ciclicamente su pareti scogliose. L’isola di Tavolara** sorveglia lo spettacolo, accrescendone ulteriormente il fascino. L’andamento altimetrico in leggerissimo saliscendi e il fondo sterrato con pietre incastonate nel suolo consentono anche un ritmo relativamente scorrevole, a patto di prestare molta attenzione ai ginepri, il cui hobby è quello di lasciare graziose linee rosso sangue sugli avanbracci dei ciclisti che fendono la macchia, e alle improvvise svolte esposte su una decina di metri di dirupo sugli scogli. Una sbarra metallica è stata posta a metà del sentiero, probabilmente per precludere il transito agli animali da pascolo, e per chi ha una buona tecnica di MTB questo sarà l’unico punto in cui è inevitabile scendere per sollevare la bici. I 4 km di collina sono un’estasi di mirto e cisto, i cui aromi sono esaltati dalla brezza marina che da queste parti è costante.
Per chiudere l’anello ci rimane solo l’ultimo chilometro di lungomare (Pittu-longu = spiaggia lunga!), e per non scendere di sella l’unico modo è quello di pedalare coi rapporti più leggeri sul bagnasciuga.
*disclaimer: sono effettivamente innocui; amano inseguire le bici per qualche decina di metri affiancandoti, poi si fermano.
**curiosità: Tavolara è considerata il regno più piccolo al mondo: il pescatore genovese Giuseppe Bertoleoni vi si stabilì all’inizio dell’Ottocento, e per puro caso nel 1836 fu visitato da Carlo Alberto di Savoia, che era incuriosito da quell’isola disabitata così vicina alle coste sarde. La leggenda narra che il sabaudo si presentò al Bertoleoni come Re di Sardegna, e quest’ultimo rispose dicendo “E io sono il Re di Tavolara!” Carlo Alberto, evidentemente divertito, fu ospite sull’isola per una settimana, e gli concesse infine l’indipendenza e il titolo nobiliare. I Bertoleoni presero sul serio l’onorificenza, fregiandosi della nobiltà acquisita generazione dopo generazione fino a oggi, epoca in cui il sovrano gestisce un ristorante. Pare che la famiglia reale di Tavolara abbia ricevuto addirittura la regina Vittoria d’Inghilterra, durante uno dei suoi viaggi, e che a Buckingham Palace sia ancora conservata una foto che celebra l’incontro delle due famiglie reali.