Lungo il Tevere tra Stimigliano e Orte, alle rovine di Ocriculum
Un percorso quasi interamente separato dal traffico automobilistico, alla portata di tutti, fatto di strade sterrate, complanari agricole e riserve fluviali: come al solito, mettersi a seguire il corso di fiumi e ferrovie regala itinerari facili e piacevoli, con dislivelli quasi del tutto assenti e molti punti di interesse.
La fuga da Roma stavolta avviene in Alta Sabina, sconfinando in terre d’Umbria: e se i colli sabini coi loro continui e violenti saliscendi non regalano niente a chi soffre la salita, rimanere vicini al Tevere ci preserva da sforzi immani. Scesi infatti alla stazione ferroviaria di Stimigliano, ci si para davanti immediatamente uno spettacolo rurale, una Toscana in minore: la spianata di fattorie e boschetti è delimitata dai binari alla nostra destra e dal fiume a sinistra. Fa un certo effetto vedere il Tevere fuori dal contesto urbano, in abiti più rilassati e vegetazione prominente, un po’ come doveva apparire alla lupa che trovò i due gemelli nella cesta.
Tutto intorno, colline verdi e paesini, o poggi come amano chiamarli i Sabini. Le strade sterrate non vedono passare automobili che non siano quelle dei fattori, garantendo relax totale al ritmo della pedalata. E nel frattempo, si susseguono quei poggi dai quali scesero quei mariti piuttosto risentiti per il ratto delle proprie mogli ad opera dei Romani, a garantire un orizzonte sempre vario e piacevole. Passiamo vicino a uno di questi lasciando lo sterrato per l’asfalto: Poggio Sommavilla è sede di importanti resti archeologici di insediamenti sabini, e ancora oggi conserva una quiete ancestrale.
Proseguiamo lungo un breve tratto di via Flaminia, che qui è percorribile senza disturbi eccessivi, per scegliere appena possibile una nuova deviazione per la campagna riavvicinandoci al Tevere: coi riusciamo nei pressi del km 13, all’altezza del Vocabolo Campitelli, in località Castello delle Formiche. Da qui si aprono altre strade bianche, solitarie e portatrici di quell’essenza stessa di un’Italia rurale che esiste ancora, quella di certi film del Dopoguerra, fatta di crocicchi, fattorie e ferrovie.
E nel frattempo l’umidore del fiume torna a farsi sentire, mentre giochiamo a saltare di qua e di là dal confine tra Lazio e Umbria. Quando lo sterrato si fa più boscoso e ne costeggia le sponde, ci si apre un’amena vallata con un eremo, e dei pannelli ci informano di essere entrati nel Parco archeologico di Ocriculum, l’antica Otricoli, scalo fluviale romano di notevole importanza. Una sosta alle rovine d’età augustea è senz’altro dovuta, se non altro per vedersi il teatro, l’edificio meglio conservato dell’intero sito, che non aveva nulla da invidiare a quello di Ostia antica. Da queste parti, per la cronaca, fu ritrovato il Giove di Otricoli, copia dell’originale greco di Olimpia.
Proseguiamo per dolci saliscendi da Otricoli in direzione dell’Autostrada del Sole: ancora poderi e cani che abbaiano in lontananza, macchie di selva e campi arati solcati da linee di fango e ghiaia. Passiamo quindi sotto l’autostrada per un paio di volte, per poi modificare il nostro corso verso nord-est: siamo arrivati al punto in cui la Nera si getta nel Tevere, e da qui in poi seguiamo l’affluente lungo un canale ciclabile, fino alla diga di San Liberato e all’omonima centrale elettrica. Nel bacino formato dall’ingrossamento del fiume si radunano varie specie di uccelli acquatici.
Da qui abbiamo tre soluzioni: a) tornare col treno dalla stazione ferroviaria di San Liberato [soluzione tracciata nel gpx]; b) tornare in bici verso Orte e prendere il treno da lì, dove le corse sono più frequenti; c) proseguire verso Narni e Terni lungo la bella ciclabile della Nera.