Ricordati Barbara
pioveva senza sosta quel giorno su Brest
però pure Roma mica fischia
(J.Prévert in visita sulla ciclabile del Lungotevere)
L’abitudine di parlare, quasi sempre male, del tempo meteorologico è vezzo tipicamente inglese.
L’abitudine di lamentarsi dei disagi causati dalla pioggia è vezzo tipicamente italiano.
L’abitudine di spostare l’oggetto della propria frustrazione mobil-meteorologica sulla giunta politica in carica è vezzo drammaticamente romano.
Lungi da me giustificare le ultime giunte capitoline, che si sono sempre dimostrate inadeguate a gestire una situazione già di suo complicata. Ma lamentarsi del traffico mentre si contribuisce a crearlo è un po’ come fare missioni di pace con l’esercito.
Quindi, usare la macchina per spostarsi dentro Roma è un po’ come usare le infradito per andare in montagna. E l’autunno mediterraneo ci attende ogni anno con il suo conto fatto di acquazzoni violenti, da pagare sotto forma di tempo perso, nervi tesi e vestiti bagnati. E chi pensa di stare al sicuro dentro il proprio abitacolo, pensi che prima o poi dovrà parcheggiare e mettere i piedi nel torrente creato dalle fogne intasate. Oltretutto, un recente studio britannico rivela che gli abitacoli delle automobili non sono neanche il luogo più salubre per quanto riguarda smog e inquinamento.
A volte, nella smania e nel desiderio di volersi troppo bene, la gente arriva a farsi del male, senza accorgersene. E così, quando la metà di settembre presenta il sopracitato conto di secchiate d’acqua, mi basta una mantella che mi rende un fantasma giallo e un paio di parafango per stare a posto. Percorro la ciclabile del Tevere semiallagata, le ruote di Falcor fendono la fanghiglia e le pozzanghere, imbocco via Ettore Rolli verso Piazzale della Radio, svolto per la Portuense, diretto a casa. Colonna di automobilisti disperati. Anche se loro sono al coperto, le loro ruote sono più piccole delle mie. Mi basta dare mezzi colpi di pedale per non portare i piedi ad altezza pantano. Giunto all’altezza del viadotto che passa sotto via Majorana, salgo sul marciapiede, il cui confine con la carreggiata è largamente sommerso e indistinto. Scene di panico collettivo all’inizio della salita della Portuense.
Mi piace l’odore di frizione bruciata le mattine di pioggia. Odora di vittoria.
Arrivo a casa coi calzini bagnati, e il resto asciutto. Ma i calzini costano di meno di una frizione. E comunque una volta lavati e asciugati possono essere anche riutilizzati.
NOTA IMPORTANTE: Arrivato alla fine di queste righe, mi sono accorto che il tono potrebbe essere quello saccente di chi ritiene di poter insegnare qualcosa a chi legge. Questa riflessione NON è il alcun modo una proclamazione ostentata di autocompiacimento. Non mi sento migliore di nessuno, non faccio proselitismo dell’uso della bici in città. non condanno chi utilizza l’automobile, sicuramente avrà i suoi motivi. Si tratta solo di una condivisione di un istinto di sopravvivenza, che per una serie di fortune casuali coincide con qualcosa che mi piace fare. Tradotto: io sono arrivato a queste conclusioni, e sono felice così, chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza, figuramose il meteo.
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