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Scegliere la meta e il percorso di un cicloviaggio è una delle mie parti preferite: l’adrenalina che ti corre in corpo davanti a una mappa o a delle curve di livello, decidere il chilometraggio giornaliero e collegare i punti di interesse, dare un senso simbolico a quella linea (o a quel cerchio, perché no) ideale che si andrà a tracciare col proprio sudore è una sensazione di intensità quasi pari al viaggio in sé. Non è forse l’attesa del viaggio il viaggio stesso?

Ma anche qui si possono seguire vari criteri, a seconda della nostra concezione di viaggio.

4.1. La pianificazione del viaggio

Per me un viaggio in bici deve necessariamente avere una valenza simbolica. Una traversata o un attraversamento, un periplo, un tematismo forte… sicuramente dev’essere lineare, sono rari gli eterni ritorni al punto di partenza, magari obbligati nei casi in cui si tratti di isole. Però la maggior parte delle volte ho disegnato una linea cercando solo in seguito di darle un senso logistico, in parole povere ho sempre cercato di adattare la realtà all’idea.

La partenza e la meta devono avere una forte energia, e vanno raggiunte staccando le ruote da terra solo in casi di assoluta necessità: le già nominate Etica del Pellegrino e Ascesi, immancabili compagne di viaggio, esigono che non si bari, o lo si faccia soltanto quando serve davvero. Così come in salita non si scende, piuttosto ci si ferma a riprendere fiato e si riparte da quello stesso punto, è una questione deontologica – se non quasi d’onore cavalleresco.

Anche il simbolismo della meta va maturato, riempito nelle settimane se non nei mesi: un germe di un’idea, bella quella terra, vorrei proprio girare per quelle strade lì, poi studi sparsi sul web, vediamo un po’ cosa incontro per questa costa qui, e se taglio per le montagne? E così via dicendo. I consigli di chi c’è già stato, una foto, una semplice suggestione data da un verso, una poesia, un libro, anche due parole buttate a caso dal primo stronzo che passa: ciascuno di questi fattori, se seminato in una mente resa fertile dal giusto concime, può germogliare fino a diventare un’urgenza da appagare a tutti i costi. E quando mi fisso, non mi do pace e rimugino varianti, sfoglio mappe, elucubro programmi.

Mi piace fare programmi che poi non riesco a seguire.

Mi piace anche tirare la corda, e su carta le distanze appaiono sempre meno temibili che dal vivo – quando magari ci scontriamo con la cruda realtà, fatta di pioggia, tir, deviazioni e forature che rallentano i nostri ipotetici 25 km all’ora di media per coprire quei 100 km in metà giornata. E mi piace ideare un viaggio da poter raccontare, per poi vedere cosa mi riserva il Caso rispetto alle aspettative che mi ero fatto prima della partenza.    

Ma tutte queste sono perversioni strettamente personali, e si può (fortunatamente!) fare cicloturismo in mille altri modi diversi, alcuni più sani, altri più rilassanti.

C’è anche chi preferisce proprio non farne, di programmi, e pedalare in una direzione per fermarsi solo quando il sole scende a violentare altre notti. E magari scegliere lì per lì di fermarsi in un posto un giorno in più, una settimana in più, soltanto perché quel vecchietto gli ha offerto da bere o perché in quella taverna la cameriera è carina. O proprio scegliere di non tornare.

Di solito si agisce così quando si hanno lunghi periodi di tempo a disposizione, e non si hanno a cuore tutte quelle baggianate sulla coerenza ciclistica di cui sopra, che – ripeto – sono problemi che mi faccio solo io. È un modus vivendi che mi affascina, ma al momento non me lo sono mai potuto permettere, e dico “potuto” per scelte fatte a monte e non per mancanza di possibilità (il Tempo uno se lo crea, se vuole).

C’è poi chi preferisce dei binari sicuri, un viaggio con la libertà della bicicletta limitato però dalla codificazione di un percorso scelto da altri. È questo il caso di chi sceglie una ciclovia o un tracciato già battuto o consigliato dalle comunità ciclistiche. Questa concezione di itinerario non mi trova affatto contrario, anzi: ha il pregio di scegliere dei percorsi studiati apposta per pedalare, solitamente sicuri e affascinanti, in molti casi anche attrezzati appositamente per i bisogni del cicloturista. Porta però con sé l’inevitabile taglio alla parte di progettazione della rotta, e dona in cambio la sicurezza di un qualcosa che già funziona, perché qualcun altro ha già testato per te. Per fare un esempio concreto, qualche anno fa ho provato la blasonatissima ciclovia Londra/Parigi, l’Avenue Verte: un percorso bellissimo, rilassante, fatto apposta per il cicloturista, però preferisco ancora le statali abruzzesi.

Questo discorso vale naturalmente solo per i viaggi su strade carrabili: per i sentieri e la MTB vale la pena avere delle tracce GPS da seguire, se non altro per motivi di sicurezza.

4.2. La pianificazione delle tappe

Il cicloturista non è uno sportivo, non necessariamente perlomeno: se si vuole trascorrere un viaggio che sia anche vacanza, con dei tempi di relax e di turismo tradizionale, insomma non avere il fiato sul collo, sarà bene considerare alcuni variabili nel pianificare le tappe.

Superate le turbe sturmundranghiane relative al simbolismo, quando butto giù un programma di viaggio, mi pongo dapprima queste domande:

  • deve essere un viaggio in bici o una pedalata attraverso dei posti? (traduzione: l’accento sarà spostato sul turismo o sul ciclismo?)
  • con chi parto? Che livello di allenamento / fretta / resistenza hanno?
  • mi interessa di più quello che posso scoprire lungo il viaggio o la compagnia?
  • quanti giorni a disposizione ho?
  • che budget ho a disposizione?
  • che tempo farà nel posto in cui vado? Farà freddo, caldo, ci sarà vento, sole, pioggia, neve? E posti in cui fare il bagno?
  • Ci sono posti in cui voglio assolutamente passare?
  • Quali mezzi di trasporto ho per raggiungere la partenza? E il ritorno? E lungo il percorso, a cosa mi posso appoggiare in caso di problemi?
  • Ho intenzione di prendermi dei giorni di pausa in cui non si pedala?
  • Quanto voglio lasciare al caso, e quanto alla programmazione?

Solitamente, almeno per i miei gusti personali sto sul 70% ciclismo e 30 turismo. Amo stare molto in sella, e ogni tanto fermarmi in qualche posto (mai più di due notti nello stesso posto). Dopo l’idea, il concetto di viaggio, la prima cosa che faccio è capire quanti km sono in tutto, e da lì divido per il numero di giorni che ho a disposizione. Di rado mi è capitato di avere più di 20 giorni liberi di fila, quindi la lunghezza dei miei viaggi è sempre stata influenzata dai limiti temporali.

A seconda del risultato della divisione, tiro le prime somme e verifico la fattibilità del progetto.

So ormai bene – a mie spese e di alcuni che mi hanno sciaguratamente seguito – che se ci si vuole godere il viaggio, prendersi il proprio tempo per visitare questo o quello, fermarsi qualche giorno o anche solo avere parte della giornata libera dalla pedalata, sarà bene non fare più di 60 km al giorno. E so altrettanto bene che la velocità media di un viaggiatore, pause comprese, è di 10 km orari. Via ogni pregiudizio sportivo, quando ci si allena ci sono delle cifre, quando si pedala per scoprire una terra tendenzialmente non ce ne sono proprio, ci cifre: sono irrilevanti, se non per pianificare.

Ciononostante, i 60 km giornalieri a 10 all’ora sono soltanto una prescrizione responsabile per occupare 6 ore della giornata a pedalare e il resto a vagare: mi è capitato di fare tappe da 130 km, ma devo dire che in questi casi ci si lascia troppo alle spalle senza il tempo di metabolizzarlo. Diciamo che un range attendibile e verosimile senza sofferenze inutili può andare dai 30 ai 100 km al giorno, a seconda del livello di allenamento (e di penitenza).

Verificato se la divisione rientra in questi valori, passo a programmare le tappe in un elenco, appuntandomi le città o le località di possibile sosta – e ovviamente tutto ciò che c’è di utile nel raggio di una decina di km prima e dopo la possibile sosta. A quel punto, ho in mano una prima bozza di programma giornaliero con le relative distanze, di solito variabili nel mio caso tra i 70 e i 110 km, e a seconda dei luoghi e delle aspettative valuto la possibilità di inserire giorni di riposo.

Deciso anche questo aspetto, è pronto un calendario. Mi segno i punti critici (altimetrie, v.4.3; ma anche passaggi obbligati poco piacevoli su strade a grande percorrenza, che solitamente cerco di evitare), quelli in cui mi interessa fermarmi o prevedere giorni di pausa, e quelli in cui intendo pernottare (vedi 7.4, “Dormire: la scelta di un posto per la notte”). E preparo quello che viene definito dai tour operator un “roadbook”, tappa per tappa, con chilometraggio, dislivello, meta della giornata e pernotto.

Se tutto questo metodo può sembrare claustrofobico e troppo vincolato ai tempi, dipende unicamente dalla quantità di giorni liberi per viaggiare: se potessi, me ne starei mesi e mesi fuori e andrei alla Ventura, ma avendo tempi circoscritti dell’anno in cui partire, mi è purtroppo necessario pianificare. Tanto quel margine di imprevisto e di libertà c’è in ogni caso.

4.3. Altimetrie, queste sconosciute

Quando si va in bici a livello amatoriale, il primo, grande mostro da affrontare è la Salita. Ho visto persone macinare in tranquillità chilometri in piano, e arenarsi alla prima, flebile rampetta. Rimango convinto che sia in larga parte un fattore psicologico, che è razionalmente abbattibile con l’assunto “fretta non ne ho”: se la scalata è dura, ci si ferma, ci si riposa, si va piano piano, si ingrana il rampichino e via. A meno che non ci insegua un gruppo di cani randagi: in quel caso si torna indietro in discesa.

Il cicloturista (o il ciclista) neofita avrà difficoltà a quantificare e valutare il concetto di salita accumulata, o di dislivello complessivo. Tracciare su uno dei tanti tracker online le tappe permette oggi di capire in anticipo quali e quante salite ci saranno durante la giornata, in modo da razionalizzare gli sforzi.

Omettendo la solita premessa che qualsiasi singola parola scritta qui è strettamente soggettiva e che i dati che elenco sono relativi al mio allenamento e al mio concetto di viaggio, ho rilevato una serie di parametri orientativi e relativi al mio livello di allenamento per stabilire la difficoltà di una tappa:

  • facile: 0 < 300 m di dislivello complessivo. Entro i 300 metri di accumulata parliamo sostanzialmente di pianura;
  • medio: 300 < 800 m di dislivello complessivo. In questa soglia rientrano tappe collinari con saliscendi o brevi salite.
  • impegnativo: 800 < 1500 m di dislivello complessivo. In questa categoria ci sono tappe montane, con passi e valichi da superare
  • molto impegnativo: > 1500 m di dislivello (il massimo mai fatto in una giornata per me è stato di 3000 m di dislivello)

Altro fattore di cui tenere conto è la pendenza media delle salite, e  – guarda caso – anche questo dipende dalla preparazione atletica: personalmente preferisco una salita lunga e graduale a una breve e ripida. Comunque sia, mi sono abituato a riconoscere i tipi di salita da questi parametri:

  • graduale / appena percettibile: 0% > 3%: parliamo quasi di falsopiano, quello che fa guadagnare quota senza nemmeno accorgertene;
  • graduale / salita classica: 3% > 7%: in questo range di pendenza è inclusa la maggior parte delle strade asfaltate. Si tratta di salita, certo, ma è fattibile con un rapporto agile con una certa velocità, anche a carico pieno;
  • salita dura: 8% > 12%: qui la pendenza costringe al rampichino e a ritmi più lenti: solitamente si tratta di strappi brevi, ma sofferti;
  • rampa / muro da castigo divino: > 12% Oltre il 12% è buono per le mountain bike, oppure per spingere a piedi bestemmiando.

Per pianificare al meglio le tappe di un viaggio, sarà bene tracciare l’itinerario prima di partire su uno dei router / tracker gps disponibili gratuitamente on line. Queste risorse sono numerose e variegate, e il loro utilizzo può essere diviso essenzialmente in tre funzioni principali:

  • pianificazione: questa fase preliminare permette di “disegnare” a tavolino il tracciato che ci interessa sulla mappa, e ottenere tutte le informazioni e specifiche tecniche relative alla tappa da noi creata: lunghezza in km, altimetria complessiva, pendenza media, diagramma altimetrico;
  • orientamento: questa funzione ha invece il compito di orientarci e guidare il nostro percorso durante la pedalata lungo la traccia scelta; ovviamente, è anche possibile seguire un percorso creato da altri, saltando la fase precedente di pianificazione; i formati di file utili a questo scopo sono .gpx, .kml e altri ancora;
  • tracking: questa funzione registra in tempo reale il nostro cammino in formato di dati gps, che rimane utile da condividere o da analizzare in funzione dei dati di tempo e quindi velocità raccolti. È utile soprattutto agli sportivi, per misurare le proprie performances, ma anche in fase di ricognizione quando si crea una traccia da seguire in un secondo momento o far seguire da altri.

In questa fase, quella di pianificazione, lo strumento che finora ho trovato più utile è MapMyRide, ma nel paragrafo 7.2 “Dove Andiamo?” verranno passati in rassegna alcuni dei più usati tracker gps online e le loro caratteristiche.

E in questo modo la triade Ascesa / Ascesi / Ascelle sudate viene pienamente soddisfatta.

4.4. il fondo stradale

Il fondo stradale è una variabile non indifferente. Personalmente il mio tipo di viaggio ideale è principalmente su asfalto con qualche excursus per sentieri sterrati non impegnativi, e la rete stradale di solito offre alternative affascinanti alle arterie di grande percorrenza che permettono di godersi paesini e paesaggio incontrando una macchina ogni tanto. Soprattutto questo tipo di strada mi piace: non ciclabile (che palle fare il criceto su strade già predisposte), né statali (perché viaggiare in bici se devo farlo per il percorso più breve e brutto?), ma strade secondarie condivise con le automobili. E ogni tanto un po’ di wilderness sulle strade bianche, niente sentieri tecnici da mountain bike, quel tanto che basta per ricordarsi che veniamo dalla Terra e alla Terra ogni tanto dobbiamo tornare.

Partire con una bici da strada ci preclude ogni imprevisto, scegliere una mountain bike ci rallenta molto: quando si viaggia si è sempre oscillanti tra l’imprevisto e la progettazione, tra comode rotaie e deviazioni inaspettate, ed è opportuno per questo motivo scegliere un tipo di bici pronto a fondi stradali diversificati. Ovviamente la percentuale di sterrato influirà drasticamente sulla velocità media e quindi sulla lunghezza delle tappe.

C’è ovviamente poi il cicloviaggio classico, quello nato da un articolo su quella ciclovia attrezzata e sicura, e anche questa scelta è di tutto rispetto. Ma a mio avviso si perde qualcosa dello spirito stesso del Viaggio. Come a dire, se i polsi non tremano sul manubrio per i sassi e le bestemmie, se almeno una volta non hai l’impressione di pedalare a vuoto, se non ti capita mai di non sapere dove stai andando e senti i cani che abbaiano al tramonto, ecco, allora ti stai perdendo qualcosa.

4.5. La bici e i trasporti

Molte destinazioni dei viaggi le scelgo proprio in base alla facilità che un certo luogo ha di farci arrivare la bici – smontata o montata che sia. A questo proposito, treni regionali e traghetti sono amici preziosi per il cicloturista, dato che consentono il trasporto bici senza doverla necessariamente smontare e imballare.  Treni veloci e aerei un po’ meno, bus un’incognita.

Se il tempo di soggiorno è piuttosto breve (entro le due settimane), cerco di non smontare la bici per il trasporto, o perlomeno farlo soltanto al ritorno: non tanto lo smontaggio e il rimontaggio, quanto l’imballaggio è un’operazione scomoda e tediosa, a meno che non si possiedano le apposite sacche – pensate soltanto ai trasporti del materiale di imballaggio in aeroporto: mi è capitato di dover impacchettare la mia cavalcatura coi cartoni degli stracciaroli di Atene,operazione già complessa di suo per il reperimento degli stessi, e poi di dover portare questa pila di fogli piuttosto piccoli ma pesanti e ingombranti in aeroporto insieme alla bici carica in metro, quindi smontarla e fare un collage coi cartoni più adatti.

Un viaggio che invece parta e finisca in porti o stazioni ferroviarie permette operazioni di carico più snelle e veloci (quando il servizio funziona, sia chiaro). Ma passiamo in rassegna i principale mezzi di trasporto sui quali è possibile caricare la bici, e i loro pro e contro:

  • treno regionale: lento, scomodo e poetico, è la croce e la delizia dei primi spostamenti extraurbani. Trenitalia sta deliberatamente affossando il servizio regionale per privilegiare la TAV, cancellando corse, servizi e orari. Malgrado ciò, il nostro carro bestiame favorito resiste, guadagnandosi odio e amore. 3,50€ di supplemento giornaliero (a parte alcune regioni illuminate come Liguria e Puglia, dove non si paga) e passa la paura – o inizia, a seconda dei punti di vista. Utile per gli spostamenti entro i 300 km, se si inizia a fare troppi cambi per distanze più lunghe si perdono intere giornate di trasporto, che invece si potrebbero passare a pedalare.
  • traghetto o piroscafo, come a taluni piace definirlo in maniera un po’ retrò: affascinante e comodo, rivela tutta l’agilità del cicloviaggiatore nel districarsi nella stiva, dove ha sempre un posto sicuro. Non bisogna smontare nulla, soltanto godersi le uscite dal porto e l’orizzonte blu durante la traversata. Unica pecca la scarsità di tratte, che sono dipendenti da porti e compagnie, questo mezzo è particolarmente utile per le mete mediterranee (Sardegna, Corsica, Croazia, Spagna, Francia meridionale, Albania, Grecia, isolette varie) e per le traversate nordiche (Manica, Baltico, Irlanda, ecc.)
  • bus: è la grande incognita del cicloturista: salvezza insperata o beffa. La sua possibilità di caricare bici a bordo dipende dalla compagnia, dal Paese e soprattutto dall’empatia del conducente, che si riserva di decidere se c’è spazio o no per la bici a seconda di quanto è pieno il mezzo. Per esperienza personale, posso affermare che esiste un rapporto inversa proporzionalità tra cultura ciclistica ed empatia: in altre parole, meno sono abituati a vedere viaggiatori in bici (cfr. Sud Italia, Grecia), più saranno disposti a fartela imbarcare facendo uno strappo alla regola. Ecco, tutto ciò era valido fino a qualche mese fa, prima dell’avvento di FlixBus: ora, in quello che potremmo definire la RyanAir del trasporto su gomma, è possibile prenotare il trasporto bici (intera!) a bordo insieme al biglietto – non sempre il servizio è disponibile, ma almeno te lo dicono prima, in fase di prenotazione. Ulteriore vantaggio è che le rotte seguite sono molto più ramificate rispetto ai treni regionali, e a volte fanno meno cambi su destinazioni lontane.
  • treno veloce e aereo: personalmente li uso come ultima ratio, un po’ per partito preso, un po’ per l’effettiva scomodità del dover trovare o portarsi dietro l’imballaggio. Malgrado alcune compagnie come TransAvia, non a caso olandesi, consentono il trasporto bici senza smontaggio, con le sole ruote sgonfie, il manubrio girato e i pedali tolti, arrivare in aeroporto con il proprio mezzo già carico e in più i cartoni o la sacca per caricarlo è impresa scomoda e laboriosa. Quasi tutte le altre (finora ho provato RyanAir, British Airways e Vueling) consentono il trasporto bici smontata e opportunamente imballata: qui e qui ci sono maggiori informazioni. L’alternativa per utilizzare questi due mezzi con comodità è viaggiare in Brompton.
  • esistono ovviamente altre soluzioni, più turistiche e agevoli ma che rendono il viaggio meno avventuroso, dal noleggio bici in loco al trasporto attrezzato con mezzi a motore da parte di tour operator – ma volete mettere la soddisfazione di viaggiare col proprio catenaccio? Si tratta sempre di scegliere tra un viaggio e una vacanza (vedi 1.3)
  • per chi ha tempo, poi, il modo migliore per spostarsi in un viaggio in bici resta comunque la bici.