7. E ADESSO?
7.1. La suddivisione della giornata: orari, programma, soste
Com’è la giornata di un cicloturista? Di norma, non esiste un programma fisso, e il bello è proprio quello. L’unico metronomo che ha voce in capitolo è l’arco luminoso del sole, dal momento in cui ci dà luce e calore a quando ce li toglie. All’interno di quest’arco, ci sono poi alcune variabili: a meno che non si scelga di pedalare soltanto mezza giornata e di godersi il resto in relax, lo spartiacqua tra “salita” e “discesa” (metaforicamente parlando) della tappa è il pranzo, e le eventuali ore calde successive se parliamo di estate e temperature proibitive per pedalare.
Al di fuori della pausa pranzo, non esistono barriere se non quelle che decidiamo sul momento – una pausa per bere, per fotografare, per visitare un posto bello. Cercare di formalizzare questa prepotente libertà cognitiva è quasi una forzatura, tuttavia di proveremo dando un modello di programma giornaliero (per questo è opportuno anche conoscere l’altimetria della tappa che si va ad affrontare, in modo da non doversi trovare ad affrontare salite impreviste – che comunque ci saranno, in un modo o nell’altro):
7.30 sveglia e colazione
8.00 partenza
8.00/12.30 pedalata e pause varie
12.30 inizio ricerca posto per mangiare
13.00 pausa pranzo e ricerca posto per accamparsi la notte (a meno che non sia già pianificato)
15.00/16.00 ripartenza (a seconda del caldo e delle ore luce disponibili)
17.00 eventuale spesa (se non ci sono posti aperti per mangiare la sera dove si arriva)
18.00/19.00 arrivo, cena e sollazzo
Se ci sono salite dure, è molto meglio pianificarle in mattinata o comunque a inizio giornata, per togliersi subito la parte difficile e per non rischiare di affrontare ostacoli già stanchi.
7.2. Dove andiamo?
Se si viaggia su strada, orientarsi è importante ma non troppo difficile. Una buona cartina, magari di quelle vecchie con le curve di livello altimetrico e i tratti panoramici evidenziati in verde, sarà più che sufficiente, così come in molti casi la strada giusta si ottiene semplicemente seguendo le indicazioni dei cartelli stradali, magari sapendo quali città seguire in successione. Tuttavia, una serie di ulteriori informazioni – nonché più precise – si può ottenere con la tecnologia satellitare GPS, della quale ormai tutti gli smartphone sono dotati. Sapere il punto preciso in cui ci si trova, quanto dista in km quella località e cosa ci aspetta oltre quella curva ci aiuta a pianificare i tempi e a dosare le energie. Come già anticipato in 4.2 e 4.3 per la pianificazione delle tappe, esistono varie app utili a questo proposito, che passeremo ora in rassegna per quanto riguarda la funzione di orientamento (seguire un tracciato prestabilito o un’indicazione stradale):
- Google my Maps: le mappe Google sono un’app preinstallata in tutti i telefoni e sono consultabili gratuitamente. Hanno inoltre la preziosissima risorsa di mostrare tutti i punti di interesse sul percorso in cui ci troviamo, hotel, punti di assistenza, informazioni reperibili tramite motore di ricerca e connessione ad Internet. Se però siamo all’estero senza un contratto adeguato o in montagna dove non c’è campo, abbiamo comunque un modo per utilizzarle che mi ha spesso salvato, scaricarle offline. Qui è spiegato come fare, e da quel momento la mappa è visualizzabile come file sul telefono senza più dipendere dalla connessione dati o wifi; il segnale gps è invece indipendente dalla connessione a prescindere, e ci mostrerà dove ci troviamo anche in assenza di connessione. La funzionalità MyMaps permette inoltre di creare mappe personalizzate con segnaposto e punti di interesse nonché vari livelli (layers) esportabili e importabili in .kml (purtroppo ci sono problemi con la lettura dei gpx): per utilizzarla è sufficiente avere un account Google.
- Mapmyride: ottimo in fase preliminare per la pianificazione a tavolino delle tappe, è invece meno chiaro per quanto riguarda l’orientamento. È vero che esiste una funzione in versione mobile per seguire un itinerario precedentemente caricato, ma dipende sempre dalla connessione. Preferisco usarlo per creare percorsi o per registrarli dal vivo, come tracker, lasciando a Google Maps o a uno dei seguenti il compito di orientarmi.
- Viewranger: è forse la più completa e versatile app di questo tipo: permette di importare ed esportare file gpx, nonché di seguirle offline (anche con una funzionale modalità navigazione che non costringe a guardare costantemente il telefono); ha il solo difetto che alcune mappe sono a pagamento.
- Bike Route Toaster: ottimo per la pianificazione, è estremamente leggero e versatile per quanto riguarda l’import / export di file gpx, kml ecc. ma non ha una funzione mobile per orientarsi in tempo reale, né di tracker per registrare i percorsi.
- Open Street Map: costituisce insieme a ViewRanger la più importante risorsa cicloviaria sul web; basato sul concetto di opensource, utilizza mappe libere dal copyright che ad esempio ha Google, frutto del contributo della comunità di utenti. Utilissimo il layer relativo alle strade più battute e alle ciclovie più o meno segnalate altrimenti, così come la funzione per seguire tracce gpx offline.
- Bikemap: ottimo tracker funzionale soprattutto per la funzione di pianificazione, ha però anche le modalità di orientamento (sarebbe solo online, ma se si carica un percorso quando si è connessi lo si può seguire offline dato che rimane nella cache) e di record (non molto precisa). Come MapMyRide, Viewranger e OpenStreetMap, è fondato sul concetto di community e vi si possono molte tracce di altri utenti divise per zona e regione.
- Strava: app pensata essenzialmente per sportivi, tarata sulla performance (è molto precisa e ricca di statistiche in fase di record della traccia), diventa poco funzionale nel momento in cui abbiamo bisogno di orientarci o di pianificare una tappa a tavolino.
Ai lati di questa carrellata di applicazioni tecnologiche, esistono due poli opposti: il Garmin, lettore/navigatore tracce gps che ci libera dal fardello del cellulare, delle batterie che si scaricano, della ram occupata, ecc.; e il metodo de l’antichi, che consiste nel chiedere la strada ai volenterosi villici. Essi, bontà loro, nella quasi totalità dei casi fervono e bramano nel mostrare la propria conoscenza dei luoghi natii ai forestieri: ciononostante, può verificarsi l’accidente che essi filtrino le indicazioni stesse in base a ricordi o esperienze personali, dacché distanze, pendenze e fattibilità di alcune strade ne escono pesantemente distorte. In altre parole: se un contadino in trattore ti dice che quella strada si può fare, è perché lui la fa in trattore; se un bifolco in macchina ti dice che mancano 2 o 3 chilometri alla meta, va messo in conto che potrebbero effettivamente essere 15 o 16, dato che non è abituato a pedalarli, e così via. Va infine considerato che il tempo speso a raccogliere informazioni ridondanti e superflue – spesso filtrato da aneddoti strettamente personali, tipo “Gira a destra alla grande quercia che porta alla chiesetta dove si sposò mia figliuola, che gran giorno fu quello” – rischia di essere equivalente al tempo perso sbagliando strada per conto proprio. Insomma, è da considerare e valutare.
Un’ultima risorsa che dà preziose indicazioni sulla strada – questa muta e anche oggettiva – è la strada stessa, o meglio il paesaggio: punti di riferimento a vista, selle, valichi, foreste, salite, discese, mari, monti, fiumi, autostrade, ferrovie, il territorio che attraversiamo è pieno zeppo di indicatori naturali che ci possono dare un’idea di come saranno i prossimi chilometri anche se non siamo mai stati in quella zona. Per fare un paio di esempi tra i tanti possibili: so che una salita è quasi al termine quando vedo più cielo che alberi, e immagino difficile un altro picco nascosto dietro quel tornante; quando evo tenere una direzione, cerco di usare come riferimento un fiume, una costa, una ferrovia – è fondamentale sapere sempre dove sia il nord, almeno approssimativamente.
7.3. Mangiare e bere: colazione, pranzo, cena
Se bere durante una pedalata è fondamentale – come altrettanto fondamentale è l’ “acqua del sindaco” e il diritto imprescindibile di averla gratuitamente, ci abbiamo fatto pure i referendum – una delle cose sulle quali non si può lesinare è il cibo: se devo andare al risparmio, come già si diceva prima (vedi 2.2, “Ascesi, curiosità e benessere”), si può tagliare sulle comodità o sul giaciglio, ma non sulle calorie. Senza lo stomaco pieno non si va da nessuna parte. Personalmente preferisco andare a panini e frutta, concedendomi sporadiche incursioni in taverne e locande dove trovare cibi del posto – no posti turistici, no trattorie di lusso. La ricerca del “posto tipico” prevederebbe un trattato a parte, essendo dotato di un’estetica tutta propria che solo in parte si interseca con quella del viaggio; scoprire quell’angolo in cui il vecchietto che puzza di cacio munge le capre a mano, dove la sordida matrona riempie succulente scodelle di pasta e fagioli, dove l’oste è già ebbro del proprio vino nero, ecco, tutto ciò non ha prezzo. Più siamo lontani e nascosti dalla globalizzazione urbana, più accessibili saranno questi paradisi della sugna. Durante il viaggio si dovrebbe mangiare in maniera semplice e abbondante, scoprire i sapori della terra in cui si passa, mangiare come i suoi abitanti. Fare colazione nei forni prima ancora che nei bar, preferire le crostate ai cornetti confezionati, (ri)scoprire il sapore del pane di giornata con miele o marmellata. Fermarsi ai chioschi a bordo strada e comprare mele o susine. Fare razzia degli alberi incustoditi di ciliegie, fichi e scavalcare gli steccati per prendere un grappolo d’uva o un paio di pannocchie – non di più di quanto serva in giornata, il viaggio richiede un approvigionamento di sussistenza.
L’alcol, contrariamente a quanto vale per gli sportivi, è un buon compagno del cicloviaggiatore: distende la mente e rilassa la gamba, aiuta a liberare endorfine e a godersi la passeggiata – non è certo della performance o di dimagrire che ci interessa.
Il Teorema del Vecchietto di Paese costituisce da sempre un ottimo criterio per stabilire la genuinità di un posto: guarda dove vanno a mangiare o dove si radunano i locali di una certa età, e hai fatto bingo. Tale teorema supera in affidabilità persino la Legge del Coltello Tagliente e il Postulato della Tovaglia a Quadri, ed è pari soltanto al Corollario del Bicchiere Spaiato per determinare se quella taverna è davvero autentica e zozzona.
7.4. Riposare e dormire – la scelta di un posto per la notte
Quando il sole volge a ponente e le ombre si allungano, è tempo di smontare dalla sella e cercare un covile, una casa temporanea che accolga le nostre membra intorpidite. A seconda delle scelte fatte a monte, possiamo avere più o meno chiaro in testa quale sarà il letto che ci ospiterà stanotte – sempre che di letto si tratti.
Se abbiamo programmato le tappe in base a un pernotto certo e al chiuso, il problema non si pone: che sia albergo, ostello, b&b o amico ospitante, occorre soltanto averlo prenotato per quella data e raggiungerlo prima che faccia buio per rilassarsi; se invece si tratta di un campeggio, nella quasi totalità dei casi non occorre nemmeno prenotare, è davvero raro che le piazzole siano tutte piene – perlomeno in vent’anni di campeggi ovunque non mi è mai capitato di essere rifiutato perché non avevo prenotato: in questo caso, sarà sufficiente prevedersi un margine di tempo per non montare la tenda col buio.
Se non si sa con precisione dove ci si fermerà, sarà opportuno preoccuparsi dei cartelli, delle informazioni di chi si incontra per strada o su internet già dall’ora di pranzo. Voglio fermarmi in questa città o nei suoi pressi? Comincio a vedere quali soluzioni offre quella zona già dal primo pomeriggio, se ci sono campeggi, strutture, ecc.
Una tattica diversa richiede l’utilizzo di couchsurfing e warmshowers: anche in questo caso è abbastanza importante avere almeno tre o quattro giorni di preavviso sulla data in cui si intende cercare ospitalità, ma se si è in pochi (meglio ancora da soli o massimo in due) si hanno buone possibilità di essere accettati. Del resto, chi viaggia in bici mette fiducia e ispira simpatia; per ottenere maggiori possibilità di essere ospitati, sarà opportuno curare il proprio profilo con foto e informazioni (numero di telefono, eventuali link a blog, viaggi fatti, gusti personali, ecc.), per fornire una sorta di biglietto da visita al potenziale host: dopodiché si passa al bombardamento a tappeto. Si inviano tante richieste sulla zona nella quale si intende cercare ospitalità, controllando ogni volta che è possibile l’app da mobile, anche durante il viaggio stesso. In questo modo ho fatto viaggi senza spendere un centesimo di alloggi, programmando i pernotti con un paio di settimane di anticipo e le tappe di conseguenza, in base a chi poteva ospitarmi. Anche in questo caso, campagne e piccoli centri si dimostrano più ospitali delle città, perlomeno su base empirica.
Se infine si vuole andare alla Ventura, abbiamo due strade da battere – più o meno praticabili a seconda del clima, della zona e dell’adattabilità: il campeggio libero e l’ospitalità a sconosciuti. La prima soluzione sacrifica sull’altare di Supertramp la comodità di una doccia calda e di un cesso con tavoletta: si tratta di scegliere un posto appartato, una spiaggia libera, una radura in un boschetto, la riva di un fiume, a volte persino un campetto sportivo di paese o un parco pubblico. La tolleranza nei confronti del bivacco è come al solito inversamente proporzionale alla rusticità del luogo, e assolutamente sconsigliato / impossibile nelle città.
Nelle riserve naturali o in alcuni Parchi nazionali il campeggio libero è permesso, in altre vietato, in altre ancora sarebbe vietato ma è di fatto tollerato: l’importante è avere rispetto per il luogo e fare attenzione a cani randagi o a ronde leghiste.
La seconda soluzione richiede un buon livello di sfacciataggine e al tempo stesso una faccia pulita e affidabile: si tratta di bussare di porta in porta chiedendo un posto dove dormire – non necessariamente dentro casa, anche un garage, un capannone o un giardino in cui piantare la tenda possono fare la differenza rispetto all’esterno – che è effettivamente imprudente in alcuni contesti. Se la faccenda di chiedere ospitalità a sconosciuti può sembrare avventata, basti pensare che questa usanza varia di regione in regione (e di epoca in epoca): ci ricolleghiamo al discorso sull’umanità perduta di qualche paragrafo sopra, e magari questo può essere un buon modo per ritrovarne un po’ – esiste ancora, ve lo garantisco, specie per chi si sposta con una bici.
7.6. Comunicare
Non di solo isolamento si vive in viaggio: mantenere i rapporti col resto del mondo è in fin dei conti naturale e necessario. A parte il telefono, può capitare di non avere connessione dati nel Paese in cui si viaggia, e che al contempo le informazioni in rete siano indispensabili per il nostro viaggio: i punti wi-fi diventano in questi frangenti delle oasi di informazione nel deserto, e in cambio di un caffè, di un pasto o semplicemente di nulla ci si può fermare in maniera tattica per raccogliere informazioni sul nostro percorso. Un’alternativa economica e un’insperata risorsa viene inoltre dal colosso della globalizzazione, il McDonald: per chi non lo sapesse, infatti, oltre a essere radicato sul territorio mondiale in maniera capillare, i fast food del McDonald e di altri grandi catene multinazionali offrono un potente segnale wi-fi gratuito senza una consumazione in cambio. E dato che non amo i loro prodotti, più di una volta mi sono ritrovato a scroccare la loro connessione semplicemente sostando all’esterno.
7.7. Raccontare
Un viaggio affastella ricordi e sensazioni in maniera più veloce di quanto si possa elaborare: dietro ogni curva c’è un’immagine, ma il senso del tempo e dello spazio si fondo in un unicum, ed è utile annotare le proprie memorie regolarmente per evitare che la linea tracciata si avviluppi nella nostra testa come una matassa confusa. Al tempo stesso, o si scrive o si vive: e se si è troppo presi dal dover registrare quello che ci sta accadendo, non si vivrà mai appieno l’esperienza del viaggio; come in ogni cosa, occorre buon senso nel dosare questi due aspetti. Personalmente ho provato a scrivere da pc o tablet, a fissare i miei ricordi registrando note vocali sul telefono (quanto ci si sente stupidi a parlare da soli!), ma il miglior compagno di viaggio resta sempre un blocchetto di carta e una penna.
Premessa doverosa
Se cercate consigli tecnici e attendibili, in giro per il web ci sono risorse di gran lunga più utili di questa sezione, una tra tutte, le segnalazioni e recensioni di BikeItalia. Del resto, un sito abbondante e dozzinale come il mio si definisce da solo.
Quello che intendo invece fare è condividere qualche consiglio e impressione basato sulla mia esperienza, roba spicciola e per neofiti.
Perché viaggiare in bicicletta?
Già all’interno di uno dei miei diari spiego cosa significa affrontare un viaggio a bordo di una bici, quindi non mi dilungherò: spostarti su distanze medio-lunghe con il solo ausilio delle tue gambe, non dipendere da niente e da nessuno per i tuoi spostamenti, guadagnarti i posti che visiti col sudore, penetrare una terra senza offenderla o calpestarla, nel suo pieno rispetto della sua essenza e della sua cultura, avere come unica preoccupazione il dover trovare un posto dove dormire prima che scenda il sole, sono tutte sensazioni che non hanno prezzo. Personalmente sono convinto che sia il modo più adatto per comprendere il luogo che si è scelto di visitare, e alla velocità giusta per rendersi conto di dove ci si trova e che cosa c’è nello spazio in mezzo tra una città e un’altra.
Requisiti minimi di sistema
Non occorre essere sportivi per viaggiare in bicicletta. Nel bellissimo libro Tre Uomini in Bici (che poi, lo ammetto, è alla base della mia concezione dei diari di viaggio) Paolo Rumiz, Altan ed Emilio Rigatti hanno affrontato la Trieste/Istanbul a età comprese tra i 50 e i 60 anni e senza alcuna particolare preparazione fisica. È però altrettanto vero che il viaggio in bici non è per tutti: ciò che è indispensabile è l’adattabilità, la curiosità, una certa resistenza alle difficoltà e la disposizione a perdersi nel mondo e in sé stessi. Del resto, privarsi di particolari comodità serve a dare valore a ciò che tendiamo a dare per scontato, o più semplicemente a rendersi conto che non tutto è così necessario come crediamo. E anche se non bisogna essere necessariamente sportivi e che ogni meta va scelta proporzionalmente alle proprie capacità, un minimo di allenamento è sempre consigliabile prima di mettersi in viaggio.
Fasi preliminari #1: L’attrezzatura
Che cosa serve per fare un viaggio in bici? Innanzitutto, una bici. Solitamente hanno due ruote, dei pedali, un manubrio e così via. Tecnicamente è possibile fare viaggi con quasi tutti i tipi di bici, ma la scelta di quelle da trekking è sempre la più auspicabile. Escludendo per motivi di budget quei gioielli di ditte specializzate come la Koga o la Tout-Terrain, una bici con ruote da 28 sufficientemente resistenti andrà benissimo per viaggi su strada. Molto meglio se a 21 rapporti, dotata di V-brake (i freni a disco non sono indispensabili per il viaggio) e di parafango, e di meccaniche semplici (sganci rapidi ruote, misure chiavi standard e facilmente regolabili) per fronteggiare riparazioni e cambi di assetto con pochi attrezzi e relativa velocità. L’importante è che tutte le componenti siano in grado di trasportare un certo peso, altrimenti succede questo.
Per i viaggi, fortemente consigliato anche se non indispensabile è il manubrio a farfalla o dotato di corna, per una maggiore comodità su tratte lunghe.
Anche il portapacchi deve essere molto resistente. La ruota posteriore solitamente è sottoposta a un carico maggiore, sia perché il peso di chi pedala ha il baricentro spostato all’indietro, sia per ragioni di equilibrio: per questo motivo, la camera d’aria e i raggi di quest’ultima possono rivelarsi i punti deboli dell’assetto se non sono di buona qualità. Personalmente preferisco sistemare uno zaino e due sacche dietro lasciando i pesi più leggeri sul portapacchi anteriore, come il sacco a pelo o il materassino.
Per i viaggi più lunghi, è però preferibile dotarsi di un altro paio di borse anteriori e/o di una sacca da manubrio. Si perde un po’ in agilità e in equilibrio, ma si guadagna in ripartizione del peso e in capacità di trasportare bagaglio. Tuttavia, la mia filosofia di viaggio è “fai a meno di qualcosa, lascialo a casa e viaggia più leggero”.
Le borse laterali devono essere anch’esse molto resistenti e impermeabili. Se ne trovano anche da 20€, ma in questo caso sono sufficienti due o tre tappe per lacerarne delle parti. Quelle di Decathlon sono un’economica via di mezzo sicuramente migliori, ma devo ammettere che in questo caso conviene spendere qualcosa in più (dalle 80/90€ in su) e preferire le Ortlieb, totalmente impermeabili, comode da sganciare e agganciare, utilizzabili anche singolarmente e praticamente eterne. Pe’ ste cose i tedeschi ce sanno fà. Di più c’è solo il carrello, una dimensione che mi affascina e che devo ancora sperimentare.
Un’ultima componente-base dell’attrezzatura è una buona tenda, compatta e leggera il più possibile: niente gazebi da campo militare, per intendersi. La tenda è sempre uno degli elementi più pesanti dell’intero bagaglio, quindi c’è chi tende a escluderla preferendo soggiorni più comodi su un letto di quelli veri, ma in alcuni casi è sempre bene averla appresso, non si sa mai.
Casomai ci fosse bisogno di dirlo, NO TWO SECONDS DELLA DECATHLON. Ingombrante anche da piegata, scomoda e da falsi campeggiatori: se vai in campeggio ti assumi la responsabilità di saper montare una tenda, non si bara. Sempre da Decathlon, Questa è molto usata tra i cicloturisti, anche se in giro c’è di molto meglio, e una buona tenda può fare la differenza. Quella di Fabio è forse un po’ più ingombrante e pesante, ma certamente più funzionale e comoda. Anche il pollame la apprezza, come si evince dalle foto.
Per il resto dell’attrezzatura (abbigliamento, attrezzi per le riparazioni, ecc.) rimando a una lista più dettagliata alla fine di questa pagina, alla voce “cosa portarsi e cosa no”, oppure al documento di progettazione dell’ultimo viaggio da Nantes a Barcellona, dove sono annotate tappe, pernottamenti e lista cose da portare.
Fasi preliminari #2: Lo studio del percorso
Almeno per quanto mi riguarda, la scelta di un itinerario è una delle fasi più divertenti e dense di significato del viaggio in bici: sì, perché una meta deve essere simbolica, avere un valore affettivo, storico, epico, mitico. Avere un significato, appunto. La Rotterdam/Parigi è nata come una sorpresa all’insaputa di chi era in Erasmus nella capitale francese e mi sapeva da tutt’altra parte, le isole di Corsica e Sardegna sono microcosmi densi di una loro peculiarità irripetibile, e la chiusura/cultura dei loro abitanti è un tesoro che solo lo sferragliare tranquillo di una bici può avvicinare con la dovuta discrezione; sogno di tagliare il continente americano per le Montagne Rocciose per conoscerne le contraddizioni umane e le magnificenze naturali, l’attraversamento dei Pirenei tramite Andorra era una sorta di sfida ma anche di pegno da pagare a un Occidente in evidente decadenza. E tra i progetti rimandati a data da destinarsi c’è anche la Milano/Sanremo, magari in bici da corsa onore di tempi più cavallereschi e quasi eroici. Mentre tra quelli in cantiere per quest’anno c’è la Barcellona/Lisbona, per chiudere la Trilogia Atlantica cominciata con Rotterdam/Parigi e Nantes/Barcellona:
Visualizza BARCELLONA / LISBONA 2014 in una mappa di dimensioni maggiori
Tolte queste romanticherie da vecchi dinosauri sentimentali, per la scelta di un itinerario adeguato occorre considerare le seguenti variabili logistiche:
- Tempo a disposizione: un viaggio in bici che lasci il giusto sapore in bocca richiede almeno una decina di giorni, anche se non sempre è facile conciliare dei tempi rilassati con impegni e lavoro. I viaggi epici e di una certa lunghezza richiedono anche mesi o anni, ma parliamo di un altro livello.
- Budget a disposizione: risolto il discorso attrezzatura, i viaggi in bici non richiedono grandi somme, e possono arrivare a diventare praticamente a costo zero a seconda dell’adattabilità, della stagione e delle condizioni. Il nome “abbondanti e dozzinali” non è certo stato scelto a caso. L’ultimo viaggio, quello da Nantes a Barcellona, ha limitato le sue spese al biglietto aereo di andata Roma/Nantes (110€) e di ritorno via traghetto Barcellona/Civitavecchia (80€ per 18 ore di follia) e al cibo (e non è detto che serva sedersi in trattoria per saziarsi!). Le notti sono stato ospite come couchsurfer presso residenti nei luoghi in cui passavo, un’ottima soluzione, specie quando si viaggia da soli e ci si ferma ogni notte in un posto diverso. Quando si ha modo di portarsi appresso una tenda (ne esistono di molto compatte), anche il campeggio è un amico di vecchia data del cicloturista, e aiuta a entrare in una dimensione di viaggio più fisica e intensa.
- Facilità dei trasporti: non tutti gli stati sono bike-friendly, e a meno che non si voglia partire dalla propria città (e nel caso di Roma, uscire dall’anello del Raccordo non è affatto piacevole) o noleggiarne una sul posto, è necessario trasportare la propria bici fino alla città di partenza del viaggio. E il trasporto è più o meno difficoltoso a seconda della politica di mobilità dello stato in questione. Per esempio, mentre il traghetto è un’opzione sempre comoda e agevole (bici in stiva, sovrapprezzo minimo e via!) e pertanto partire da città di porto può essere un’opzione agevole, i treni in Italia hanno politiche molto restrittive: a meno che non si voglia smontare e rimontare completamente la propria bici e inserire in una delle apposite sacche da viaggio, i vagoni per il trasporto delle bici sono al momento presenti soltanto sui treni regionali. Questo vuol dire che portare la propria bici da Roma a Milano, per fare un esempio, equivale a scegliere tra avvalersi delle pregiate (e costose) Frecce, smontare e rimontare la bici, oppure a viaggiare per 16/20 ore con 3 o 4 cambi da un regionale all’altro. Il sovrapprezzo per il trasporto bici su regionali è di 3,50€, vale 24 ore dall’obliterazione ed è acquistabile sia nelle biglietterie che negli automatici, sotto l’enigmatica dicitura “altre opzioni”. Per quanto riguarda l’aereo, vale sempre la regola dello smontaggio e dell’apposita custodia, anche se ogni compagnia ha la sua politica: personalmente ho trovato molto comoda ed economica Transavia, compagnia olandese che permette di caricare intera la bici in stiva come bagaglio speciale con un sovrapprezzo di soli 40€, a patto che si sgonfino le gomme (la pressione le fa scoppiare!), si ruoti il manubrio e si tolgano i pedali. L’unico difetto è che le linee coperte sono ancora poche (da Roma va a solo Rotterdam e a Nantes, e le ho sfruttate già entrambe).
- distanza complessiva, lunghezza tappe e dislivello altimetrico: a seconda delle proprie capacità fisiche e del ritmo che si vuole dare al viaggio (passeggiata? villeggiatura rilassata e itinerante? viaggio della speranza? sfida ascetica?), sarà opportuno valutare, cartina alla mano, quanti chilometri si intendono fare giornalmente e per quanto tempo. Personalmente sono arrivato a pianificare tappe da 90/100 km al giorno, mai più di 120 e raramente meno di 40, ma a volte mi rendo conto che ho ritmi un po’ troppo frenetici per godermi a pieno i posti che visito. Per chi non ha esperienza di cicloturismo sarà opportuno scegliere una grande ciclabile europea (tra Olanda, Germania e Francia ce ne sono molte e belle lungo i fiumi, che tra l’altro garantiscono un andamento pianeggiante e molto facile) e tappe da 20/30 km, fattibili in una mezza giornata. È opportuno pianificare anche giorni di riposo, specie quando si allungano le distanze, per fronteggiare imprevisti come danni, riparazioni o semplice relax. Una variabile non trascurabile è il fattore altimetrico, ed eventuali salite vanno previste e considerate attentamente prima di ritrovarsi intrappolati in una conca tra due valichi mentre la sera scende. Ecco, il criterio-base è proprio questo: dove posso piantare la tenda o trovare un giaciglio prima che cali il sole? Posso fare quella salita, posso arrivare al valico per quella determinata ora? Qual è la mia velocità media da crociera? Quante ore di luce mi concede la stagione scelta? Quante ore calde posso permettermi di stare fermo all’ombra? Personalmente, so che a pieno carico e con rilassatezza posso viaggiare a 25km/h di media in pianura, 20km/h in generale, 15 considerando le pause nell’arco dell’intera giornata, 10 nelle salite. Un cicloturista alla prima esperienza può tranquillamente considerare 10/15 km/h di media per pianificare le sue tappe. Ultimo fattore da tenere conto è una minima consapevolezza di ciò che ci si aspetta durante la giornata, perché il fattore umorale è molto importante per la resistenza agli sforzi e sapere se si deve affrontare una salita o no prima di pranzo può rivelarsi fondamentale.
- strutture sul percorso: la presenza di itinerari ciclabili o strutture ricettive per ciclisti sul percorso sono senz’altro punti a favore nella scelta di un itinerario, così come è sconsigliabile scegliere strade troppo trafficate o a scorrimento veloce. È fondamentale uscire dall’ottica di chi programma un itinerario in macchina: non tutte le strade sono percorribili in bicicletta, e ovviamente i nemici principali sono superstrade, tunnel e strade a scorrimento veloce. Al contrario, scegliere uno degli itinerari ciclabili di Eurovelo può essere una mossa azzeccata: oltre a essere meno pericoloso, fare una strada non percorsa da automobili rende tutto più piacevole e godibile.
- stagione e clima: per quanto siano fattori che vanno messi inevitabilmente in conto, la pioggia e il freddo sono elementi che possono causare svariati problemi. Così come il caldo eccessivo, a seconda del luogo. Sta di fatto che anche in paesi non eccessivamente caldi, l’esposizione a sole e vento per molte ore al giorno si sente più di quanto si possa immaginare (sono riuscito ad abbronzarmi sotto la pioggia olandese di fine aprile). A questo proposito abbigliamento, impermeabili, cappelli e creme solari vanno scelti con cura a seconda del mese e del luogo scelti. O vi ritroverete a pedalare con le Clark a Monaco di Baviera, di metà dicembre.
Fasi preliminari #3: cosa portarsi e cosa no
In viaggio tutto assume un’importanza diversa: cose indispensabili nella quotidianità perdono ogni utilità, attrezzi prima mai considerati diventano di colpo preziosi. Ecco una lista sommaria di bisogni primari da considerare per un viaggio, divisi per argomento:
Abbigliamento: comodo, tecnico ed essenziale, ovviamente in relazione al luogo, alla stagione e all’opzione tenda/letto. Non sono per le maglie tecniche e sintetiche, preferisco t-shirt di cotone, con felpa sempre di cotone o di pile se è più freddo (quella della Quechua mi ha salvato la vita dall’umidità in tanti casi… le escursioni termiche, specie quando non conosci un posto e sei in tenda, sono notevoli tra giorno e notte), bermuda o calzoni comunque leggeri (mi è capitato di pedalare anche con jeans larghi e vecchi, sono più comodi di quanto si pensi specie quando fa freddo), occhiali da sole e capello con visiera (fondamentale per chi è esposto alla luce varie ore al giorno!) o bandana, scarpe comode e leggere, un buon impermeabile da tenere sempre a portata di mano. Personalmente sono affezionato al mio orrendo marsupio Reebok verde comprato per una gita alle elementari nel 1990 o giù di lì, penso sia l’oggetto più antico che mi rimane, e non sono mai partito per un viaggio in bici senza. Lì dentro tengo gli oggetti piccoli e di uso frequente (portafogli, cellulare, occhiali, cartine, biglietti, ecc.). Abbigliamento in quantità ridotta, fondamentale il sapone di Marsiglia per lavare i panni ed economizzare così sullo spazio. Per accelerare i tempi di viaggio e far asciugare le cose prima, Fabio suggerisce un’ “antica tecnica samurai“.
- calzoncini
- magliette
- felpe cotone / pile
- giacca a vento / impermeabile
- occhiali
- berretto
- scarpe
- ciabatte
- asciugamano
- telo
- sapone di Marsiglia
- cavo stendipanni
- marsupio
- kit pronto soccorso (cerotti, disinfettanti, medicinali base, ecc.)
- crema solare
- tante buste di plastica. Servono sempre, non bastano mai, riparano il bagaglio dalla pioggia, proteggono, incartano, ecc.
- guanti aderenti
Attrezzatura bici
L’usura e lo sforzo cui è sottoposta una bici a pieno carico che viene usata tutti i giorni per distanze medio-lunghe sono grandi, quindi danni e rotture durante un viaggio sono sempre da mettere in conto. E anche se non si è esperti ciclisti, è abbastanza importante essere in grado perlomeno di saper cambiare una camera d’aria o regolare un freno. C’è poi una serie di attrezzi di riparazione che non è pratico portarsi dietro in viaggio, in quel caso molto dipende da una bici tosta e/o in buone condizioni di partenza. L’ideale sarebbe essere totalmente autosufficienti in qualsiasi condizione, ma in molti casi informarsi sulla presenza di negozi di assistenza sul percorso non è un’idea malvagia. In questi casi saranno utili i giorni di pausa previsti come “bonus” per non sforare nella tabella di marcia.
- almeno un paio di camere d’aria (anche il kit per le riparazioni delle camere d’aria rotte può essere utile)
- cacciagomme
- pompa
- raggi di riserva (normalmente non è un tipo di danno comune, ma quando il peso sulla ruota posteriore è troppo può accadere che ne saltino uno o due: a quel punto il cerchio rischia di deformarsi e di rimanere a piedi nel giro di poco)
- chiavi e brugole di tutte le misure richieste dalla propria bici (sulla mia la misura standard è la 4mm, ma sono comuni anche le 6 e le 8), pinze e cacciaviti (sia a stella che a croce)
- olio lubrificante
- tacchetti freni di riserva (in realtà se si cambiano prima di partire bastano ampiamente)
- casco
- borracce varie (la presenza di fontane sul percorso è un altro dei fattori che assume importanza mai immaginata prima)
- tanti tiranti a gancio per fissare il bagaglio oltre alle borse. Per un periodo i ganci di metallo sono stati dichiarati illegali perché pericolosi e sostituiti con quelli inutili di plastica, ma ora si trovano di nuovo.
- spugnette e spazzole per la pulizia
- opzionale una catena di riserva (la rottura della catena è piuttosto rara, a me capitò una volta sola in 15 anni di pedalate ed è stato durante uno spostamento a Roma, per fortuna)
- opzionale-nerd ma salva la vita: smartphone e portasmartphone da manubrio; ovviamente una buona mappa cartacea resta quella preferenziale, ma avere a portata un segnale gps integrato con google maps può essere molto utile. Se si è all’estero e non si dispone di una connessione dati a Internet, i bar dotati di wireless o l’onnipresente arcinemico MacDonald, dotato di Wi-Fi gratuito, diventano preziose risorse per scaricare la mappa che ci interessa e renderla disponibile offline. La batteria degli smartphone / I-phone tende a durare poco se usata in questo modo, ma esistono vari caricabatterie usb alimentati a energia solare, a carica elettrica o addirittura a dinamo
Ripartizione del carico
Dopo anni di maldestri tentativi da troll, ho finalmente capito che almeno per quanto riguarda i miei bisogni l’opzione più semplice è destinare lo zaino agli indumenti più pesanti, asciugamani, tuta e calzoni, una borsa laterale agli attrezzi da bici e l’altra a magliette e biancheria, lasciando sul portapacchi anteriore sacco a pelo e spesa alimentare e nel marsupio gli oggetti di uso frequente.
Bisogni primari: magnà&dormì
Pedalare stanca, e lo stomaco va riempito. Non a caso il momento-clou di ogni tappa viene inevitabilmente assorbito dalle operazioni di nutrizione. E mangiare diventa una sorta di contrappeso fisico allo sforzo, più che un esercizio di stile di golosità (che pure esiste ed è sempre, eh). A parte l’acqua, nostra sorella&fonte di sostentamento, alimenti insospettabili assumono importanza inaspettata: succhi di frutta da tracannare a litrate, dolci e barrette energetiche per prevenire i cali di zuccheri, il pratico scatolame da portare ovunque (l’apriscatole e il coltellino multiuso sono i migliori amici dell’uomo) e l’immancabile baguette: ce pranzi, ce ceni e all’occorrenza diventa anche un oggetto contundente. O un simbolo.
Per quanto riguarda il dormire, se possibile un materassino dormibene alza la qualità del riposo in tenda (e tra l’altro arrotolato occupa più o meno le stesse dimensioni di una baguette). Attenzione alla scelta del sacco a pelo! Se si decide di andare in campeggio in posti freddi o umidi, è importante sceglierne uno termico. O comunque vestirsi a strati, ché non si sa mai.